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L’autismo di Francesco «Lui mi riempie il cuore, semplicemente con il suo silenzio»

Francesco nasce l’11 agosto del 1990 con un ittero altissimo. Questo gli provoca un po’ di lentezza motoria, che nell’arco di pochi mesi si riassorbe. Francesco è molto precoce nel parlare, a 10 mesi cammina. “Ha avuto un normale percorso di crescita, fino a quando intorno all’anno di età ho deciso di fargli fare il vaccino trivalente” racconta la mamma, Paola Testa, disability manager del Comune di Alessandria. Che, aperta parentesi, questa volta parla come madre, non come manager. “Premetto che io sono a favore dei vaccini, a condizione che le famiglie siano informate dei pro e dei contro”. Paola racconta con calma, senza astio. Ma la ferita le si legge su un volto che in certi momenti si imporpora, vuoi per timidezza (non è facile aprirsi così, di fronte a un estraneo), vuoi per un dolore difficile da addomesticare. “Nella notte in cui gli è stato somministrato il vaccino, Francesco ha urlato in una maniera straziante tutta la notte. E dal giorno dopo non ha più parlato. Probabilmente non era ancora pronto”.

Per due o tre anni, l’unico problema era che non parlava. Ma ha sempre capito tutto, come oggi. Solo che negli Anni 90 l’autismo era un malessere sconosciuto. “Ci hanno sempre rassicurati” spiega Paola. “Ci hanno sempre detto che forse era solo in ritardo. E così abbiamo perso tanti, troppi anni”. Fino a quando non arriva la diagnosi definitiva: autismo, appunto. “Non sapevamo nemmeno che cosa fosse. Era una parola quasi a tutti sconosciuta. Tu, da mamma, vedi tuo figlio sereno, tranquillo e bello. Di costituzione robusta, come diceva mia suocera”. Ma si può accettare un verdetto senza appello? “La mia colpa è quella di non avere accettato la diagnosi da subito, probabilmente nella speranza che fosse una cosa che poi avremmo superato. L’altro mio errore è stato che, quando poi ne ho avuto certezza, e Francesco aveva 5 o 6 anni, ho rifiutato questa cosa”. Paola si allontana da Francesco, e due anni dopo gli regala un fratellino, Federico. “Lui è nato quando iniziava a venire fuori il problema, ed è cresciuto molto da solo, in maniera autonoma”. Paola scandisce ogni parola, come se rivedesse su uno schermo tutta la vicenda.

“Federico si è messo questa maschera da bambino forte perché ci vedeva preoccupati per il fratello. Ho trascurato il fatto che lui si fosse messo una corazza. E a vent’anni sono venute fuori le fragilità”. Sempre nello stesso periodo Paola si separa dal marito. Il racconto della sua vita prosegue. “Ti chiedo di spendere una parola sul tema dei fratelli con disabilità. I genitori tendono a concentrarsi sul bambino che ha problemi, a discapito dell’altro. E non c’è nessun programma di supporto psicologico alle famiglie per quello che riguarda i fratelli”. Quando ha due anni, Federico piange perché “Cecio non parla”. E a 14 dice alla madre: “Io dovrò fare un lavoro che mi farà guadagnare tanti soldi per poter pensare a Francesco”. Nei primi anni Francesco è seguito in un centro di neuropsichiatria infantile specialistico vicino a Pisa. Paola ha tempo di assorbire il colpo. “Ho capito che dovevo accettare questa cosa quando Francesco aveva 15 anni. Dai 5 ai 14 sono stata molto latitante. Quando Francesco è rientrato dalla Toscana ho dovuto affrontare la realtà. Mi sentivo inadeguata e non sapevo da che parte prenderla. Addirittura non sapevo come fare quando dovevo dargli da mangiare, o metterlo a dormire”.

L’autismo è una disabilità subdola, ti mette di fronte alla tua totale impotenza. “Tu vedi una persona normalissima, che riesce a recepire tutto ma non riesce a trasformarlo in un messaggio di risposta consono. È una disabilità straziante”.

Francesco quest’anno compie 27 anni. Ha un amico del cuore, come un fratello maggiore. Si chiama Henry Mendoza, è un signore filippino che da sempre lo accompagna. “Se penso a una prospettiva di vita per Francesco, penso che lui e Henry potrebbero avere una vita sociale insieme”. Paola sorride. “Francesco mi riempie il cuore, semplicemente con il suo silenzio. Con il suo esserci. Qualunque cosa facciamo, lui c’è totalmente. È un amore totale dove è lui che dà a me, non sono io che do a lui”. Da ultimo, un consiglio: “Se avete un figlio autistico, apritevi alle associazioni nate dai genitori. Come ‘Il Sole dentro’ e ‘L’arpa’, qui ad Alessandria”. Ci sarebbe ancora tanto da raccontare, ma non c’è più spazio. Ne riparleremo. Per adesso grazie, Paola. Non siamo più estranei.

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