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L’interVista a Silvestro Castellana

 

Silvestro Castellana

Silvestro Castellana

Geometra, nato il 13 aprile 1934.

Sposato con Maria e padre di tre figli, impegnato nel teatro, da sempre.

Fondatore della compagnia “Teatro insieme”.

È il regista della Via Crucis in Cittadella.

La prima domanda a Silvestro Castellana è banale. Quando e dove è cominciata la passione per la recitazione?

Lontanissimo. Avevo sei anni perché nel condominio dove abitavo c’era un capitano dell’esercito in pensione che aveva la passione per il teatro, aveva scritto lui un testo e ai bambini del cortile l’aveva fatto rappresentare.

Contemporaneamente, mi ero inserito nell’oratorio di don Stornini, il famoso “Fede e Azione San Domenico Savio”, dove c’era una filodrammatica importante, che aveva vinto concorsi regionali e nazionali e lì mi avevano già affidato la parte di un bambino.

Il papà era stato richiamato sotto le armi e andò a finire prima a Napoli e poi in Montenegro e noi eravamo sfollati a Moncalvo, dove ho avuto l’occasione di recitare ne “Il ventaglio” di Goldoni, realizzato da uno studente universitario (divenuto regista in Rai) in onore dei partigiani che avevano liberato la città. Vennero radunati tutti i bambini di Moncalvo per un provino per la parte di Lemoncino nella commedia e fui scelto io.

Ho continuato, quindi, a coltivare questa passione e ritornato in Alessandria nel 1945 mi sono inserito nell’attività del “Fede e Azione”. Eravamo in forte competizione con Eco e realizzammo una rivista di ambiente militare intitolata “Vent’anni molte gioie e pochi affanni”, una rivista di ambiente militare.

Il “Fede e azione” aveva Cesarino Fissore che scriveva i testi e andava a vedere le riviste di Rascel e Dapporto prendendo ispirazione da loro: erano periodi belli perché, trovandoci alla sera per scrivere i testi, ci facevamo delle grandi risate.

Umberto, quando ha visto che al “Fede e Azione” facevamo queste riviste, che abbiamo rappresentato un po’ dappertutto, ha incominciato lui a scrivere delle riviste, quindi c’era competizione.

Il teatro è un veicolo di cultura straordinario

E poi?

Negli anni in cui era vescovo monsignor Maggioni il Comune di Alessandria affittava il teatro di via Vescovado e, per un determinato spettacolo, avevano segato tutte le poltrone. Monsignor Maggioni fu dell’idea di troncare questo rapporto e la mia idea di guidare un gruppo di persone appassionate di teatro che mettessero a disposizione un po’ del loro tempo con il volontariato, fu accolta dal vescovo. È stato un periodo esaltante. Abbiamo preso il teatro in uno stato disastroso e l’abbiamo rifatto portandolo a 296 posti: una meraviglia.

Nel frattempo stipulai un contratto di collaborazione con l’architetto Gian Mesturino, che era il proprietario del Teatro Nuovo di Torino, ed ottenemmo la possibilità di presentare alla città degli spettacoli meravigliosi a costo zero. Anche di danza. Naturalmente ebbi l’idea di metter su una compagnia teatrale.

Come l’avete chiamata?

“Teatro insieme”. Però sapevo benissimo che la televisione aveva cambiato un po’ tutto e ci voleva un teatro di qualità. Oltre al rispetto per il pubblico. Pensai ad una scuola di recitazione che venne affidata all’unico, vero maestro dell’epoca: Ennio Dollfus. La diresse per quattro, meravigliosi, anni.

Le ultime lezioni agli allievi, Dolfuss le fece in una stanzetta dell’ospedale dove era ricoverato, messagli a disposizione dal dottor Rosti (una persona stupenda!). Creata questa base con la scuola, abbiamo continuato affrontando testi anche importanti.

L’ultima rassegna teatrale l’abbiamo fatta nell’89 con 21 spettacoli in tre mesi.

Oggi c’è uno spazio per una attività di filodrammatica?

Lo spazio c’è. Se ci fosse l’agibilità del teatro ci vorrebbe chi se ne occupa. Molti pensano che io abbia il pallino del teatro, magari è vero, perchè sono convinto che il teatro sia un veicolo di cultura straordinaria. Utilizzo il teatro per dare spunti alle persone per pensare. Ecco perché ci tengo e ho travasato anche sui miei figli questa passione per il teatro, proprio perché sono convinto che può dare dei contributi alla società.

Cosa riserva il futuro?

Il 27 aprile avremo “Eco di un’antica storia”, uno spettacolo molto bello, poi ci butteremo su un testo legato al carcere preso dal libro che ha scritto Paolo Bellotti “Visti da dentro”, dove ci sono quattro storie di detenuti veramente straordinarie.

Carcere, incontro fra speranza e sofferenza

La rappresentazione di “Processo a Gesù” in carcere è stata una esperienza di vita, dice Silvestro Castellana. Avevo molte perplessità, a partire dalla parola “processo”, ma monsignor Remigio Cavanna (allora cappellano del carcere, ndr) mi disse che i reclusi volevano ascoltare testi impegnati. Il processo si svolge metà sul palco e metà fra il pubblico (e qui la voce di Silvestro si incrina per la commozione, ndr) con gli attori del secondo atto seduti in mezzo agli spettatori perché l’idea di Diego Fabbri è quella del popolo cristiano che si ribella al fatto che Gesù venga condannato. C’era un faro che illuminava l’attore che, di volta in volta, interveniva, manovrato da un carcerato il quale, finito lo spettacolo, mi venne vicino dicendomi: “Sono stato condannato a 50 anni di carcere però dopo vent’anni di buona condotta posso fare la domanda di riduzione della pena. Io sono sempre disponibile e sono sicuro che se mi comporto sempre bene me la ridurranno al massimo a trent’anni, ne ho fatti nove e me ne rimangono ventuno”. Però, poi, mi dice: “Se dovessi pensare di passare ventun anni a guardare sempre quelle facce lì, impazzirei, ma se verrete ancora a trovarci e ci darete l’emozione che ci avete dato oggi, passeranno”. Andare a trovare dei carcerati per far sentire loro una emozione mi ha riempito di felicità come mai in trent’anni di teatro.

 

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