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L’interVista a Elisabetta Taverna

Elisabetta Teverna
Presidente dell’Azione Cattolica diocesana.
44 anni, sposata con Fabio.
Laureata in matematica,
si occupa di servizi informatici bancari.

Qual è la realtà dell’Azione cattolica in diocesi?

L’Ac diocesana sta vivendo una stagione di grande fermento in cui emergono tante potenzialità, espressione dei percorsi avviati nei trienni precedenti.

Si sono intensificati i rapporti tra Centro Diocesano e responsabili parrocchiali. Tra gli adulti si sono inserite anche persone che non hanno una lunga storia associativa: il loro entusiasmo e il desiderio di approfondire, sono uno stimolo estremamente positivo per tutti. I giovani ci stanno travolgendo con una serie di proposte per la programmazione del nuovo anno: colpisce il fatto che siano loro ad insistere per delineare un cammino di maggiore profondità anche a livello spirituale. Prosegue l’esperienza del Movimento studenti che ci ha portato ad un’interessante collaborazione con la Diocesi di Acqui.

Stiamo riorganizzando l’Acr per creare la giusta sinergia tra educatori adulti ed alcuni giovanissimi che vorrebbero iniziare questo servizio. C’è poi una grande ricchezza da valorizzare nelle famiglie dei piccolissimi: quanto fatto in via sperimentale ci ha permesso di riprendere i contatti con chi, diventato genitore, avverte il bisogno di trovare forme di impegno compatibili con la nuova situazione di vita.

Negli ultimi anni abbiamo instaurato collaborazioni proficue con alcuni servizi pastorali e all’interno della Consulta delle aggregazioni laicali.

Accanto a tutto questo, non possiamo negare che ci sono aspetti da migliorare. Sicuramente la vitalità dell’associazione è maggiore del dato numerico (siamo presenti in una ventina di parrocchie con un totale di circa 500 aderenti). La nostra preoccupazione, sia chiaro, non è aumentare il numero degli iscritti ma ci interessa davvero capire perché in alcune situazioni prevale l’aspetto burocratico e formale del tesseramento rispetto al valore dell’adesione. E questa riflessione sarà possibile mettendoci in ascolto dei tanti “simpatizzanti” che partecipano assiduamente senza però aderire e dei sacerdoti nelle cui parrocchie manca l’associazione.

A 150 anni dalla fondazione l’Ac guarda al futuro facendo tesoro del passato. Diventare presidente diocesano quali responsabilità comporta?

Una prima responsabilità è proprio quella di non fermarsi alla celebrazione dei 150 anni. Davanti ad una ricorrenza così importante si può correre il rischio di far prevalere i ricordi e farsi immobilizzare dal confronto con il passato. L’incontro e l’assemblea nazionali appena vissuti ci hanno dato lo slancio giusto per evitarlo: non c’è mai stato spazio per la nostalgia, si respiravano la gioia, la gratitudine, la meraviglia di sentirsi parte di questa storia con il desiderio di continuarla, fedeli all’identità originaria ma con linguaggi e forme adatte a questo tempo.

Far crescere l’associazione nella corresponsabilità

Per costruire nel presente un nuovo pezzettino di questa storia, il presidente deve curare il dialogo: tra le diverse dimensioni e componenti dell’associazione, con il Vescovo e la Chiesa locale, con altri soggetti presenti sul territorio.

Infine per darle un futuro, la responsabilità più grande è far crescere l’associazione nella corresponsabilità. Tra le tante dimostrazioni di amicizia ed affetto ricevute per la mia nomina, mi ha fatto particolarmente piacere la consegna che mi ha voluto trasmettere Lilia Testa, ex-presidente rimasta per noi preziosa figura di riferimento, raccontandomi che al primo incontro del suo mandato un sacerdote le raccomandò: “Ed ora, non vorrai mica fare tutto da sola?”.  Se anche nella nostra piccola diocesi l’Ac ha una storia così lunga, significa che ci sono stati tanti laici e sacerdoti appassionati che hanno saputo vivere questa esperienza non come un fatto personale ma come un tesoro da trasmettere con fiducia ad altri.

È una responsabilità che mi emoziona e crea anche qualche preoccupazione ma con gratitudine posso dire che i componenti della presidenza e del consiglio diocesano con cui ho intrapreso il mio servizio stanno dimostrando un affiatamento e una voglia di mettersi in gioco sorprendenti.

Papa Francesco nel discorso in piazza San Pietro vi ha invitati “A portare avanti la vostra esperienza apostolica radicati in parrocchia, che non è una struttura caduca”. Cosa significa?

Per comprenderne meglio il senso è opportuno leggere anche le frasi successive. Il Papa definisce la parrocchia “Lo spazio in cui le persone possono sentirsi Accolte così come sono, e possono essere Accompagnate attraverso percorsi di maturazione umana e spirituale”. Non si tratta quindi di una semplice questione organizzativa ma di uno stile di vicinanza ed Accompagnamento che ci interpella in modo forte.

Ci Accorgiamo che talvolta nelle nostre parrocchie capita di sentirsi effettivamente coinvolti solo se si riesce ad essere molto presenti ed attivi come animatori, catechisti, operatori pastorali o se si appartiene a “categorie” specifiche come, per esempio le coppie, i genitori dei bambini del catechismo.

Nei passaggi importanti della vita, quelli che fanno emergere fragilità (esperienze di malattia, lutto, crisi lavorative e famigliari…) o che rivoluzionano positivamente (la formazione di una nuova famiglia, la nascita dei figli, l’inizio di un percorso di studi…), corriamo il rischio che le nostre comunità non riescano ad esprimere quel sostegno che ci si aspetterebbe. E se noi stessi avvertiamo un maggiore bisogno di compagnia, dovremmo maturare un supplemento di attenzione a chi è “sulla soglia della chiesa” o anche “oltre il sagrato”. L’Ac non ha ricette pronte, non siamo “più bravi” di altri. Il valore aggiunto che possiamo offrire è il nostro essere associazione che, avendo una dimensione più ampia, può restituire alla parrocchia maggiore apertura e respiro.

Un altro invito del Papa è stato quello di “mettersi in politica, quella con la P maiuscola”. È una scelta nuova?

Ho colto due dimensioni di questo invito, una personale ed una associativa.

È prima di tutto un richiamo, rivolto a ciascuno di noi, a vivere la quotidianità in modo responsabile. Dobbiamo ricordarci che la costruzione del bene comune inizia da azioni ordinarie molto semplici, dal partecipare all’assemblea del condominio in cui si abita al documentarsi prima di cliccare “mi piace” sui social.

Come associazione credo che questo invito sia un’opportunità per diffondere maggiormente, anche a livello locale, esperienze che non sono nuove. L’Ac nazionale è da tempo impegnata attivamente in una serie di progetti di solidarietà, sensibilizzazione su temi di rilevanza sociale, promozione di collaborazioni che permettano di rispondere a specifiche esigenze del territorio.

E sono esercizio di Politica “con la P maiuscola” tanti elementi costitutivi dell’associazione: l’attenzione educativa, la responsabilità intesa come servizio gratuito, la struttura democratica ed unitaria che in un tempo di lAcerazioni riesce a tessere legami tra diversi Nord e diversi Sud, tra grandi città e piccoli paesi, tra giovani e adulti.

È il momento di prendere sul serio l’Evangelii Gaudium non riducendola ad un documento da studiare. Le indicazioni che fornisce sono un’ottima ragione per appassionarsi all’impegno ecclesiale, vivendolo pienamente da laici. La Chiesa sognata da Papa Francesco, che è quella già delineata dal Concilio, è molto più profetica e al passo con i tempi di quanto spesso riusciamo a trasmettere. Abbandonare la logica del “si è sempre fatto così” non vuol dire cambiare ad ogni costo, inventarsi qualcosa solo per dare una parvenza di novità. Serve soprattutto uno sguardo nuovo che ci liberi dalla preoccupazione di occupare o difendere spazi e ci consenta di metterci in dialogo, di interessare e contagiare con il nostro modo di essere e rapportarci. Il nostro tempo non è peggiore o migliore di altri: è quello che ci è donato, al quale volere bene, consapevoli delle difficoltà ma vedendo in esse sfide più che ostacoli.

L’Assemblea Nazionale – con un’evidente maggioranza di delegati giovani, una Presidenza dallo stile familiare e concreto, un’impostazione essenziale e non formale – ha dato l’impressione di esserci incamminati sulla buona strada.

A cura di
Marco Caramagna

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