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La febbre del sabato sera – Il mio compimento è l’amicizia con Cristo che vivo tutti i giorni

“I miei sabati sera erano abbastanza movimentati, come quelli dei ragazzi di oggi”. Comincia così la chiacchierata con don Paolo Pietroluongo, sacerdote della Fraternità San Carlo e vice parroco di Santa Giulia a Torino. Don Paolo, 32 anni, ha già avuto a che fare con noi. Nel febbraio scorso è venuto ad Alessandria per un incontro organizzato dal Serra Club locale, e la sua testimonianza ha lasciato un segno in coloro che l’hanno ascoltata. Per questo abbiamo voluto approfondire con lui alcuni spunti legati alla sua vocazione. Con uno sguardo al tempo di Pasqua e, in particolare, al sabato, che per don Paolo, nel tempo, è cambiato profondamente. “Tra i 17 e i 21 anni il mio sabato sera iniziava alle 10 di sera e terminava alle 7 del mattino della domenica. Giorno in cui dovevo imbottirmi di pastiglie contro il mal di testa”. E alle 7 del mattino della domenica don Paolo incrociava sullo zerbino di casa sua madre.

“Lei andava a Messa, io tornavo a casa. Mi guardava, e mi diceva: ‘Disgraziato’. Pur annebbiato, capivo che aveva una grande fiducia nei miei confronti”. La mamma di Paolo non interviene, lo lascia libero. Vede che in lui c’è una pur confusa ricerca di felicità, e accetta di “rischiare” sul suo cuore. “Mia madre è una santa” racconta Paolo. “Ha perso il marito quando io avevo 11 anni, e ha sempre pregato per la mia vocazione. La ringrazio, perché con poche parole mi ha sempre detto quali erano le cose giuste e quali quelle sbagliate. Un suo ‘disgraziato’ valeva più di mille prediche”. Un’educazione essenziale, una presenza che colpisce e diventa paradigmatica. “Anche adesso che ho a che fare con i ragazzi, indico loro quello che è bene e quello che è male. Ma poi, come faceva mia madre con me, li lascio liberi”. Un atteggiamento educativo rischioso, a dir poco. “Ai ragazzi va sempre indicato il nord, ma alla fine non bisogna forzare la libertà. È più importante dare le ragioni di quel che si dice”. Non solo.

“L’altra cosa che ho imparato è a pregare per il cuore di questi ragazzi, perché solo Dio può cambiarlo”. Già, i ragazzi. Don Paolo a Santa Giulia si occupa, oltre che di amministrazione (si è laureato alla Bocconi), anche di animare l’oratorio. “Il problema dell’educazione non sono mai i ragazzi. Se non riusciamo più a educare è perché non sappiamo più che cosa dire. Quindi alla fine il problema sono sempre io: a che cosa guardo, che cosa trasmetto? E, soprattutto: credo a quello che vivo? Perché, se ci credo, i ragazzi se ne accorgono. Questo, oltretutto, mi libera tantissimo dai programmi pastorali, dalle ipotesi di lavoro…”. Qual è allora la proposta educativa? “Se devo proporre Cristo ai ragazzi, devo preoccuparmi di vivere io un rapporto personale con Cristo. Certo, mi posso lamentare se si sballano: ma io che cosa propongo, in alternativa? Per questo ho iniziato a fare in parrocchia una proposta di vita comune, un certo modo di vivere le vacanze o lo studio”. Torniamo al sabato in discoteca di Paolo, non ancora don.

A un certo punto succede qualcosa. “Il mio essere sempre alla ricerca mi porta a scoprire che Dio esiste, e vuole un rapporto personale con me. Per questo devo ringraziare tantissimo gli amici di Comunione e liberazione, che mi hanno sempre invitato a verificare se quello che stavo vivendo era quello che volevo veramente”. Questi amici non lo giudicano, ma addirittura a un certo punto della vicenda lo accompagnano, vanno in discoteca con lui. “La serata passata con quegli amici ha scardinato le mie immagini sulla chiesa. Mi sono detto: se il cristianesimo è un luogo in cui posso divertirmi e fare una vita piena, allora vale la pena dare la vita a quel luogo”. Paolo inizia a pregare, e si innamora. Ma non di una donna. “Ho fatto l’esperienza dell’innamoramento. Una mattina di fine maggio Dio ha toccato il mio cuore. È stata un’esperienza spirituale, è stato come innamorarsi”. Ma subentra la paura.

“Mi sono spaventato, non era possibile che io andassi a fare il prete. Avevo anche la fidanzata, tra l’altro. Allora ho esasperato ancora di più i miei sabati sera, in una settimana andavo in discoteca otto volte… ma questa idea di dedicarmi a Cristo aveva preso la mia anima. In discoteca la serata finiva prima, e non io mi divertivo più”. Alla fine Paolo cede, e decide di parlarne con qualcuno più grande di lui. Si affida a don Gianluca Attanasio, che già conosceva e che adesso vive con lui a Santa Giulia, insieme con altri due sacerdoti e un seminarista. “Lui all’inizio non mi ha creduto e mi ha detto di smetterla. Poi, di fronte alla mia insistenza, ha accettato di seguirmi”. Inizia così un percorso di verifica, che dura tre anni. “Mi ha chiesto di tenere un rapporto di verginità con le donne e con gli amici.

Mi ha fatto capire che la verginità non è astenersi da qualcosa, ma è la possibilità di andare a fondo della realtà, per goderne ancora di più. È guardare la realtà come se fosse appena uscita dalle mani di Dio. Con rispetto, come un dono”. Una roba da preti, insomma. “No, questo sguardo è per tutti. Anche per te che hai moglie e figli, non vale solo per i consacrati. La verginità è lo sguardo con cui Gesù guardava la realtà”. Alla fine del percorso di verifica, nel 2008 Paolo Pietroluongo entra nel seminario della Fraternità San Carlo a Roma. Svolge un anno di missione presso la casa della Fraternità a Lisbona e due anni di missione nel quartiere Sanità di Napoli. Da settembre 2014 è a Torino, presso la parrocchia Santa Giulia (il cui parroco è proprio don Gianluca Attanasio); e il 27 giugno 2015 è ordinato sacerdote a Roma.

Ma come sono i sabati sera di don Paolo, adesso? “Li passo con i ragazzi dell’oratorio, oppure a casa di qualche famiglia. Il momento più bello però non è quando sto con loro, ma quando alle 23 vado a letto e dalla finestra della mia camera sento le voci dei tantissimi ragazzi che sono in strada. Allora mi chiedo: ma io sono felice, in questo preciso istante, o rimpiango i sabati sera di prima? Ebbene, quello che domina in me non è l’invidia per non poter più andare in discoteca, ma la pienezza di un’anima che segue Cristo. E sa che così non le viene tolto nulla, ma può guadagnare tutto”.

Ma questa pienezza dove si può vedere? “La vera pienezza non è nelle grandi circostanze, ma nell’amore fiducioso che vedo tra marito e moglie, nel movimento dei cuori dei ragazzi in ricerca o di un bambino che ti pone certe domande. Questo è il centuplo quaggiù: vedere come Dio opera nelle piccole cose. Solo questo soddisfa”. Una Presenza che si mostra nel particolare, dunque? “Il mio compimento è poter osservare in maniera silenziosa il miracolo della fedeltà, della ricerca appassionata, della curiosità: questo veramente mi compie. E l’altra cosa è che quella promessa di bene che ricercavo il sabato sera adesso l’ho incontrata. È l’amicizia con Cristo che vivo tutti i giorni”.

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