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Come possiamo amare il Signore?

Il dramma delle tenebre e della luce che si contrappongono

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Commento al Vangelo di Domenica 21 maggio 2017
VI Domenica di Pasqua

Il Vangelo di questa domenica continua il discorso dopo l’ultima cena, che annuncia l’invio dello Spirito Santo e la manifestazione di Gesù a coloro che gli saranno fedeli. È un passo quanto mai indicato per questi giorni prima dell’Ascensione e della Pentecoste.

In tutto il capitolo 14 di Giovanni l’accento è posto sul tema della “consolazione”, con la promessa che, anche dopo morte e risurrezione di Cristo, egli non abbandonerà i suoi discepoli: “Non vi lascerò orfani, verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete.

Il Vangelo è, una volta ancora, un invito alla speranza (“Io vivo e voi vivrete”!). Dobbiamo sperare perché Gesù ha promesso di pregare il Padre per noi e perché il Padre, esaudendo la sua preghiera, ci ha dato “un altro Consolatore”, “lo Spirito di verità”, che “rimane presso di noi”, nella chiesa e “sarà in noi”, nel nostro cuore.

Gesù, nell’ultima cena, ha appena stabilito una nuova alleanza nel suo sangue e chiede ai suoi discepoli l’amore, ma anche la fedeltà, l’obbedienza ai suoi insegnamenti (che ne è la prova concreta): “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti… Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”.

La partenza del Risorto lascia apparentemente soli i discepoli: Gesù però garantisce loro la sua fedeltà e la sua presenza.

Lo fa mediante l’invio dello Spirito. Il termine “Paràclito” (“consolatore”, “difensore”), ricorda che gli apostoli, e tutti i discepoli dopo di loro, non saranno soli quando dovranno dare prova della verità della loro fede. Lo Spirito infatti ha il compito di rincuorare e di sostenere i credenti nelle difficoltà. Egli continuerà l’opera di Cristo, già lui stesso “Consolatore”, che fino a questo momento aveva provveduto personalmente a custodire quelli che il Padre gli aveva dato: adesso che egli torna al Padre, sarà lo Spirito Santo ad avere cura del Suo gregge.

Il Signore garantisce poi la sua presenza mediante la propria venuta: “Verrò da voi… mi vedrete”. Non si tratta, questa volta, di una venuta escatologica, del ritorno di Cristo nell’ultimo giorno, ma della visione spirituale che i credenti avranno della sua presenza, della sua unione con il Padre e della loro comunione con Lui.

Lo Spirito Santo
dà la capacità
di amare Gesù

Questa venuta di Cristo, cioè la Sua presenza nella vita dei fedeli (nel cammino della comunità, nella Sua Parola, nei Sacramenti, nella carità fraterna, ecc.) chiede però una scelta volontaria di Gesù, richiede un amore che non è solo sentimento, ma anche coraggiosa obbedienza: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”.

Perché, avverte S. Giovanni Crisostomo nel suo commento al Vangelo di Giovanni, “è di fatti che abbiamo bisogno, non di grandi parole. Parlare e promettere è facile a chiunque; non è così agevole il fare. E perché ho detto questo? Perché ci sono molti che dicono di temere Dio e amarlo, ma con i fatti dimostrano il contrario: ma Dio vuol essere amato con i fatti”.

È lo Spirito Santo che dà la capacità ai discepoli di ogni tempo di amare Gesù e di osservare i suoi comandamenti. Dice Gesù: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Gesù si manifesta a quelli che lo amano mentre, invece, il mondo non lo vede e non lo conosce, perché non ha un atteggiamento di disponibilità e di apertura agli interventi di Dio. È il dramma delle tenebre e della luce che si contrappongono, tema dominante del quarto vangelo, fin dal prologo: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (1,5).

don Stefano Tessaglia

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