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#Apertura – Quel “bip bip” dallo spazio

In Cittadella, tra le austere volte della caserma del Comando, c’è un salone particolare: tra tavoli e scaffali sono messe in mostra decine di apparecchiature elettriche di ogni genere: alcune rudimentali, altre sofisticate, piccole come scatole di fiammiferi o enormi. Il Museo della Radio allestito dai volontari radioamatori è davvero unico: tutti i modelli esposti, infatti, sono perfettamente funzionanti, e coinvolgono il visitatore in un viaggio interattivo nel mondo della radio e dell’elettronica, a partire dai primi esperimenti di Galvani, passando per Marconi, per arrivare alle radio più moderne. Il primo fine settimana di settembre il Museo ha ospitato un evento dedicato ai radioamatori: in occasione del 60° anniversario del lancio dello Sputnik I – il primo satellite artificiale messo in orbita dall’Urss, è stata allestita una vera e propria stazione di radioascolto, per captare, in una sorta di “caccia al tesoro” radiofonica, la riproduzione di quel primo “bip bip” spaziale trasmessa dai radioamatori di Tavarone (La Spezia) sulle frequenze originali. Ospite della giornata è stato Giovanni Judica Cordiglia, pioniere dei radioamatori italiani: negli anni ‘50, insieme al fratello Achille, fu tra i primi a captare, oltre la cortina di ferro, i segnali emessi dalle sonde spaziali sovietiche: i suoi strumenti originali, oggi ospitati al museo, raccontano la storia di un mondo – tecnologico e politico – oggi difficile da immaginare, nel quale l’ascolto dell’etere conduceva davvero a mondi inesplorabili.

La passione è tanta, e la si percepisce dall’entusiasmo degli organizzatori, capaci di dare una vita e una storia a valvole e diodi: il solerino Claudio Gilardenghi, anima del museo, ha realizzato nel corso di una vita tanti modelli esposti, e ci guida volentieri tra bobine e ingranaggi: «Ho incominciato ad appassionarmi di elettronica in quinta elementare: la maestra ci raccontava le scoperte di Marconi e io mi mettevo a sognare. Erano gli anni della guerra, e mio padre, meccanico, costruiva radio a partire dalle scatole di montaggio della ditta Geloso. Da lì l’interesse non si è mai spento». «L’ha già provato il Tesla?» Gilardenghi si avvicina ad un intricato insieme di colonne metalliche, sfere e avvolgimenti di rame, che arriva fino al soffitto e che sembra uscito dal film Metropolis: tira una leva e un vero e proprio fulmine artificiale travolge lo stanzone, con tanto di lampo e boato. «Saranno circa mezzo milione di volt, ma con qualche accorgimento potremmo anche generare fulmini da due milioni di volt!». Ma a cosa può servire un apparecchio del genere? Ce lo spiega Carlo Pria, presidente nazionale dell’associazione Italiana per la radio d’epoca: «All’inizio del secolo scorso c’era il problema di distribuire l’elettricità alle varie utenze, e Nikola Tesla aveva avuto l’intuizione di trasmetterla senza fili: come molti sognatori, però, morì povero, perché le sue idee erano troppo avanzate per i suoi tempi». La vita di Carlo Pria è stata sempre intrecciata con la passione per la radio: «Dopo gli studi tecnici, mi sono occupato di apparecchiature per il controllo del territorio. La mia società ricevette dalla Nato l’incarico di fare manutenzione alle boe che, in tutto il mediterraneo, erano state piazzate per segnalare la presenza di naviglio sovietico: un sistema che, ancora oggi, è più efficace del satellite». Una passione che, a 75 anni, lo spinge sempre a nuove avventure: «Ho un animo nomade, non riesco a star fermo: in questo periodo sono spesso in Africa, per la posa di reti a fibra ottica. Lì ho capito cosa siano, davvero, la povertà e la fame: per questo, con i miei collaboratori, abbiamo dato vita a progetti di cooperazione e volontariato: un’iniziativa nata dalla filosofia Olivetti». C’è poi il settore delle radio domestiche: il visitatore, premendo un pulsante, può sentire dagli apparecchi esposti le trasmissioni radiofoniche dell’epoca, cogliendo dagli altoparlanti le timbriche e sonorità originali dell’epoca. «Alessandria non ricorda di avere una grande tradizione nella storia della radio – spiega Pria – in città era sorta la “Inca Radio”, che dal 1935 produceva gli apparecchi più pregiati ed affidabili sul mercato. Dopo la chiusura, negli anni ‘60, è purtroppo andato tutto perduto». Ma, a giudicare dall’entusiasmo dei radioamatori, c’è da credere che il museo della Cittadella saprà riservare ancora nuove sorprese.

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