Home / Chiesa / Chiesa Universale / L’interVista a Gianni Sacchi

L’interVista a Gianni Sacchi

Mons. Gianni Sacchi

Nato a Trivero (Biella) nel 1960, vescovo eletto di Casale Monferrato.

Parroco da 18 anni, sarà ordinato il 21 ottobre farà ingresso in diocesi il 29.

Monsignor Gianni Sacchi, 57 anni, biellese, sarà il nuovo vescovo di Casale Monferrato. Finora vicario generale della diocesi di Biella, ci accoglie nel suo ufficio di curia: il soffitto affrescato si specchia nella austerità tutta alpina dell’arredo. La scrivania è ingombra di carte: tanti sono i telegrammi di congratulazioni.

Eccellenza, chi è Gianni Sacchi?

Prima di tutto è un prete. Sono nato a Trivero (sulle prealpi, nel Biellese orientale, ndr) nel 1960. A sei anni mi sono trasferito a Gaglianico, appena fuori Biella, dove i miei genitori avevano un ristorante. Da ragazzo li aiutavo ai fornelli, e ricordo la fatica. Ho cominciato a frequentare la parrocchia durante le medie: quanti amici! Dopo tanti anni cerchiamo ancora di vederci spesso.

Come è nata la sua vocazione?

Proprio in parrocchia: lì iniziai a provare il desiderio di essere prete. Avevo come punto di riferimento il parroco di allora, don Barberis, persona molto capace e attiva. Fu lui ad accompagnarmi dal vescovo per entrare in Seminario. Nel 1990 sono stato consacrato prete e inviato, come viceparroco, alla parrocchia di S. Paolo: la più grande di Biella. Nel 1999 ho preso possesso della parrocchia di Vigliano Biellese (nella foto grande), dove sono tuttora. Nel 2002, poi, il Vescovo mi ha chiamato come provicario generale al fianco di mons. Catella, mio predecessore a Casale (nella foto piccola), e, dal 2008, come vicario. Un percorso sempre a doppio binario: la parrocchia ed il servizio in curia.

Nella “sua” chiesa si nota subito l’organo, grande e di nuova costruzione. Un parroco, quindi, amante della musica…

Sì, molto. Ricordo ancora quando in prima media ho preso la bici per salire a Biella ad acquistare il mio primo 33 giri: mentre i miei compagni sceglievano la musica leggera, io me ne tornai a casa con il disco “Fernando Germani interpreta Bach”. Sono sempre stato innamorato della musica classica, sacra, e, in modo particolare, di quella organistica. Per questo, ho subito messo tra le priorità di parroco anche il restauro dell’organo. Non è stato facile, ma alla fine la Provvidenza mi ha esaudito: una famiglia generosissima, nell’assoluto anonimato, ha coperto interamente la spesa per realizzare uno strumento del tutto nuovo. E’ stato ed è un capolavoro, a dieci anni dall’inaugurazione. Proprio in questi giorni abbiamo ospitato il concerto di un’icona della musica organistica, Michael Radulescu.

È solo un appassionato ascoltatore o anche un musicista?

Solo un appassionato. Le mie nozioni di musica risalgono alle medie e un po’ al seminario. Sono amante dell’ascolto, del confronto, e spesso mi lascio guidare dallo stato d’animo. Alterno Bach e la scuola organistica romantica, soprattutto francese. Ho contagiato i miei parrocchiani, coinvolgendoli in eventi musicali: partecipano sempre con entusiasmo.

Quanto è importante la musica nella liturgia?

Tantissimo. Ci tengo a fare in modo che le celebrazioni del sabato, della domenica sera e del lunedì mattina siano accompagnate da organisti di alto livello. Ogni Messa è preceduta sempre da un preludio, all’offertorio c’è sempre un corale, così come alla fine. Una liturgia nella quale è presente il “re degli strumenti” è sempre edificante per i fedeli!

Prima di tutto sono un prete

La liturgia come strumento di apostolato.

Sì. Dostoevskij diceva che “la bellezza salverà il mondo”. Sono convinto che una liturgia ben curata, certo non per sfoggio di esteriorità, favorisca davvero la partecipazione dei fedeli. Ed è proprio così: quando cantiamo le parti della messa in gregoriano, c’è una grande risposta. Ma la bellezza non sta solo nella musica: penso alla cura delle luci, dei fiori, dei paramenti. Quando si fa esperienza del bello si è colpiti interiormente, e questo è importante per la preghiera.

Come vede la comunità monferrina, rispetto a quella biellese?

Il confronto, per il momento, è solo sulla carta. La diocesi di Biella ha 170.000 abitanti con 114 parrocchie, mentre Casale ne conta 100.000 per 115 parrocchie. Un territorio quindi leggermente più grande, ma con una densità abitativa minore. Ci sono comunità molto piccole, ed occorre coordinamento per garantire sempre la presenza di un sacerdote. Biella, al contrario, ha comunità molto grandi: per questo riusciamo ancora ad avere, in genere, un sacerdote per parrocchia.

Una situazione difficile.

Non riusciremo a portare avanti all’infinito così tante parrocchie: mantenerle ha senso se si garantisce l’Eucaristia. In tante diocesi hanno avuto il coraggio di fare riduzioni a rettorie, ma serve una condivisione tra presbiteri e popolazione. Intanto occorre valorizzare al massimo le altre funzioni ministeriali: laici, diaconi, religiosi… In Canada la Santa Sede ha autorizzato una suora ad assistere i matrimoni: niente di stravolgente in realtà, perché i ministri del sacramento sono gli sposi, ma è un segno dei tempi che cambiano. L’apostolo Paolo ci direbbe che “opportunamente o inopportunamente si deve annunciare il Vangelo”.

Dove cercare nuove vocazioni?

Secondo me, il terreno più fertile è ancora la parrocchia. Noi preti abbiamo una grande responsabilità, quella di curare molto la pastorale giovanile: è il nostro futuro. E poi dobbiamo trasmettere ai giovani il volto gioioso della Chiesa, non aver paura della sfida: se si propongono cose belle e coinvolgenti, i ragazzi mettono da parte anche il telefonino. Per le vocazioni è importante coinvolgere i più piccoli nel ruolo di chierichetti e poi seguirli nel tempo, presentando la bellezza del sacerdozio. Capita che noi preti alle volte ci mostriamo tristi e svogliati, e non è un buon esempio. Se un’azienda da l’idea di essere sempre “in crisi”, chi ci vorrà mai lavorare?

Il Monferrato è terra di tradizioni e feste popolari. Ma come evitare che la dimensione religiosa si riduca a folklore?

Nella mia parrocchia ogni anno abbiamo tre grandi feste, tutte molto sentite e partecipate: l’Assunta, San Michele e Santa Lucia. Bisogna fare attenzione: lo “scheletro” delle iniziative deve essere, prima tutto, l’aspetto spirituale. Poi, certo, c’è il contorno conviviale, con musica, lotterie o mostre. Ma non bisogna mai perdere di vista il motivo per cui si fa festa. Sta a chi organizza mettere i punti fermi.

Qualche esempio?

La patronale si articola su quattro giorni. Il primo è la festa dei ragazzi, ma si inizia e si finisce con la preghiera; il secondo è dedicato agli anziani con la Messa, l’unzione dei malati ed il rosario; il terzo è per le famiglie, con il concerto. La domenica, infine, tutti sono in piazza per la messa e i vespri al pomeriggio. In questo modo la dimensione spirituale non va mai persa. Ma occorre sempre impegnarsi: ad esempio, ho fatto acquistare una statua di San Michele, così da poterla portare in processione; a S. Lucia curo molto la benedizione degli occhi.

Una fede fatta anche di segni.

La pietà popolare va riscoperta, alla luce dei documenti della Chiesa: ad esempio, ho proposto momenti di 

preghiera in cimitero. Era una necessità spirituale che avevo percepito tra i fedeli. A maggio lo visitiamo con la processione della statua della Madonna, recitando il rosario tra le tombe: allo stesso modo, i mercoledì di quaresima portiamo una fiaccolata notturna dentro il cimitero e celebriamo l’Eucaristia alla luce delle torce. Sono devozioni che la gente apprezza e comprende: per questo vanno valorizzate.

Un vescovo cresciuto in parrocchia

Cosa ha provato al momento della nomina?

Sono stato convocato a Roma il 21 luglio e ho subito accettato. Mi hanno insegnato, nel corso della vita sacerdotale, a saper dire dei “sì”. E così ho fatto anche in questo caso, pur sapendo quanto mi costa lasciare una comunità dopo 18 anni in cui ho sempre percepito l’affetto della gente.

Ha già conosciuto i suoi futuri confratelli nell’episcopato?

Non ho ancora incontrato monsignor Gallese, ma spero di farlo presto. Appena eletto, ho voluto presentarmi con una lettera, anche se, come sempre, è meglio farlo di persona. Recentemente sono stato in viaggio in Russia, ed erano con noi 11 vescovi: con loro si è subito creato un bellissimo clima, che ho ricordato anche nella lettera.

Quale immagine di Biella le mancherà e si porterà nell’anima a Casale?

Le montagne, con il santuario di Oropa. La mattina, andando in curia, ho sempre uno spettacolo straordinario davanti a me, soprattutto nelle mattine serene. Mi mancheranno, così come gli amici: ma mi consolo: sono solo 45 minuti di autostrada, ogni tanto potrò permettermi una “fuga”.

A cura di
Eugenio Licata

Check Also

«L’unica soluzione è imparare a perdonare»

Andrea Avveduto, responsabile della comunicazione e relazioni esterne di “Pro Terra Sancta” Ancora guerra, ancora …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

%d