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Editoriale – di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,
abbiamo certamente tutti un amico, o qualcuno in famiglia, che ha problemi con il lavoro. Lavoro che non c’è, per i più giovani; o lavoro che non c’è più, per quelli che hanno già una certa età. In
questi ultimi anni mi sono passate davanti, drammaticamente, diverse situazioni dolorose di disoccupazione o inoccupazione.
Ho in mente stimatissimi ingegneri, con moglie e figli a carico, lasciati a casa dall’oggi al domani per feroci ristrutturazioni aziendali.
Così come ho ben presente il tormento di alcuni amici che non riescono a entrare stabilmente nel mondo del lavoro, e passano da un mestiere all’altro in uno stato insopportabile di precarietà
che non consente loro di immaginare un futuro semplice, normale, umano. Come ha detto papa Francesco nel suo videomessaggio in occasione dell’ultima Settimana Sociale dei cattolici italiani (lo trovate a pagina 8): «Io ho sentito tante volte questa angoscia: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre». E ancora: «Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono».
Urge un cambiamento radicale di mentalità: non possiamo pensare di costruire qualcosa sulle sabbie mobili.
Ed è significativo che a dire queste cose (più o meno in solitaria) sia oggi il Sommo Pontefice. Preghiamo perché gli uomini di buona volontà lo ascoltino davvero.

 

Andrea Antonuccio 

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