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Alessandria racconta – La fine di Guglielmo VII Spadalunga

Nel corso del XIII secolo l’Italia fu sconvolta dalle feroci lotte intestine tra guelfi e ghibellini. Anche Alessandria vide l’alterno prevalere dell’una e dell’altra fazione. Intorno al 1260 il partito dei guelfi chiese la protezione del condottiero Oberto II Pallavicino, signore di Piacenza, e dieci anni più tardi quella del re di Sicilia Carlo I d’Angiò. A partire dall’anno 1278 iniziò il predominio dei ghibellini, i quali offrirono il governo della città a Guglielmo VII marchese di Monferrato detto ‘Spadalunga’ ovvero il ‘Lungaspada’.  Guglielmo era nato nel 1240 da Bonifacio II e Margherita di Savoia, e in pochi anni, grazie a brillanti iniziative militari, riuscì ad accrescere il suo potere nei territori della pianura padana.  Al riguardo, Fausto Bima nella sua famosa Storia degli Alessandrini ricorda che: «per un momento pareva poter diventare signore dell’Italia Settentrionale come campione antiangioino».  Ciò causò inevitabili contrasti con il Comune di Asti, i Savoia e i Visconti di Milano che formarono una lega contro di lui a cui aderirono anche i guelfi alessandrini.  Il ‘gran marchese’ si trovò quindi a combattere contro un esercito capitanato da Alberto Guasco d’Alice, che fu abile ad attirarlo nella zona del casalese, per poi sconfiggerlo nella battaglia di San Salvatore del 10 settembre 1290.  Fatto prigioniero, venne confinato in una cella nei sotterranei di Palatium Vetus (allora sede del Comune medievale, in foto) dove fu tenuto per un anno e mezzo fino alla morte, avvenuta il 6 febbraio 1292.  Secondo altre fonti (leggendarie), il marchese Guglielmo si sarebbe invece recato ad Alessandria per arruolare rinforzi e proprio in quella occasione gli alessandrini, dopo averlo convinto a entrare in città accompagnato soltanto da una modesta scorta, lo avrebbero catturato con il lancio di una lunga catena d’oro. Guglielmo venne così rinchiuso in una gabbia di ferro (o di legno) sollevata da terra per poter essere esposto al pubblico ludibrio e lasciato morire d’inedia. Al fine di non avere dubbi circa il suo effettivo decesso, i carcerieri gli versarono in bocca del piombo fuso. Il figlio Giovanni I decise di vendicarlo attaccando Alessandria, che grazie all’aiuto di Matteo Visconti riuscì prima a resistere e successivamente a sferrare una dura controffensiva che portò devastazioni e saccheggi nei luoghi monferrini e canavesani.  A ‘Guiglielmo Marchese’, vicario imperiale e capitano ghibellino, il sommo poeta Dante Alighieri dedica un passo alla fine del canto settimo del Purgatorio:  «per cui e Alessandria e la sua guerra fa pianger Monferrato e Canavese».

Mauro Remotti

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