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Vescovo Guido: «Fare un sacrificio è ottenere qualcosa di più grande»

Eccellenza, che cosa vuol dire “fare un fioretto”?
«Letteralmente significa “offrire un fiore a Gesù”, quindi qualcosa di gradito, un dono, qualcosa che ha un profumo e una sua bellezza».

Noi che cosa possiamo offrire a Gesù?
«Dovremmo offrire a Gesù qualcosa che Gli è gradito, e dal momento che ci ha dato un comandamento nuovo, che è quello di amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi, credo che la cosa a Lui più gradita, il fiore più profumato e bello sia qualcosa che ci instradi con decisione sulla via dell’amore. In pratica, un atto d’amore o la rimozione di qualcosa che ci impedisce di compiere un atto d’amore. Credo che questa attinenza esplicita con l’amore sia un punto fondamentale da evidenziare per un fioretto, perché talvolta ho la sensazione che nell’immaginario comune fare un fioretto consista nel privarsi di qualcosa che piace. Il che porterebbe a darci un’idea di Dio come di qualcuno che non vuole che gustiamo le cose che ci piacciono. Ma questo non è vero. Dio ci ha dato tante cose belle e buone perché ne possiamo godere e ci ha insegnato che la cosa più bella e più buona è amore, e ogni volta che anteponiamo un bene meno importante a uno più importante pecchiamo. Non perché quel bene meno importante sia cattivo ma perché perdiamo di vista il bene maggiore. In realtà il peccato, che è oggettivamente un male, è frutto di un lungo cammino di degrado o di gravi sofferenze subite, per le quali si ha bisogno di una cura che di solito è l’amore».

Ci può spiegare che cos’è il sacrificio cristiano?
«Il termine sacrificio viene dal latino “sacrum facere”. E’ un atto che ricade nella sfera del sacro con diverse connotazioni, a seconda delle religioni e della religiosità delle persone. Nel cristianesimo, sulla scorta della tradizione ebraica, l’atto che rende sacro è una consacrazione nella quale interviene lo Spirito Santo che è colui che consacra. Lo possiamo vedere nel battesimo, nella cresima, nella celebrazione eucaristica nella quale il punto centrale della consacrazione avviene proprio mediante l’azione dello Spirito Santo che viene invocato appena prima. In questa prospettiva, per un fedele cristiano fare un sacrificio significa far sì che l’azione dello Spirito Santo faccia passare una situazione dalla sfera del profano alla sfera del sacro. Ora, tenendo presente che lo Spirito Santo è l’amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre, il sacrificio è un atto d’amore volto a dare un senso spirituale a una situazione in tutto o in parte profana. In questa prospettiva, il sacrificio non è una sterile mortificazione di sé ma, come negli scacchi, la rinuncia a qualcosa per ottenere qualcosa di ancora più grande. Se non riusciamo a ottenere qualcosa di più grande in realtà il sacrificio si rivela solo un’inutile perdita. Ringraziando il Cielo, davanti a Dio nulla di ciò che facciamo per il bene è inutile. Tuttavia non possiamo essere colpevolmente sconsiderati nel fare sacrifici con poco senso».

Come possiamo aiutarci a sacrificarci con gioia?
«Quando è chiaro il fine del sacrificio, che è l’amore più grande, la gioia del sacrificio ne discende naturalmente. Quindi avere un profondo senso dell’amore per cui faccio le cose porta con sé la forza con cui lo compio. Ciò non toglie che sia anche faticoso. È un po’ come uno sportivo che si allena: allenarsi è faticoso, ma puoi sopportarlo solo se hai la gioia di giocare nel tuo sport. Per cui uno si sottopone a un allenamento anche molto rigido per la gioia di partecipare in sommo grado alla sua disciplina sportiva».

Chiudiamo con una domanda più ironica: come mai la mortadella è più buona il venerdì di Quaresima?
«Devo dire personalmente che le mie migliori ricette culinarie le ho elaborate nei giorni di digiuno, giorni nei quali si scatenavano le mie più prolifiche fantasie gastronomiche. Fa parte dell’essere umano: quando qualcosa gli manca lo desidera e desiderandolo scatena i suoi appetiti e desideri, facendogli gustare ancora di più quella cosa buona. Questo in fondo è il versante umano della ragione per cui compiamo atti ascetici: per allenarci a scegliere un bene superiore, nonostante la nostra parte corporea ci indirizzi verso quello inferiore».

A cura di Carlotta Testa

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