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«Pace, pace, ci grida Rolando il nostro piccolo martire»

Fratelli e sorelle è con le lacrime agli occhi che mi accingo a parlare del Beato Rolando Rivi, morto martire per la fede. La commozione sgorga dal mio cuore di vescovo, che piange la morte di questo ragazzo, forte come una quercia per onorare e difendere la sua identità di seminarista. Al lampo di odio dei suoi carnefici egli rispose con la mitezza dei martiri, che inermi offrono la vita perdonando e pregando per i loro persecutori. Il martirio di Rolando Rivi è una lezione di esistenza evangelica. Era troppo piccolo per avere nemici. Erano gli altri, che lo consideravano un nemico. Per lui tutti erano fratelli e sorelle. Egli non seguiva una ideologia di sangue e di morte, ma professava il Vangelo della vita e della carità. […] Il piccolo Rolando, come tutti i bambini, aveva un sogno: diventare sacerdote. A undici anni, entrò in seminario e, come si usava allora, vestì la veste talare, che da quel giorno diventò la sua divisa. La portava con orgoglio. Era il segno visibile del suo amore sconfinato a Gesù e della sua totale appartenenza alla Chiesa. Non si vergognava della sua piccola talare. Ne era fiero. La portava in seminario, in campagna, in casa. Era il suo tesoro da custodire gelosamente. […] Ma un brutto giorno arrivarono le iene, piene di odio e in cerca di prede da straziare e divorare. E lo spogliarono della sua veste, come fecero i carnefici con Gesù, prima di crocifiggerlo. Non erano stranieri, parlavano la stessa lingua e abitavano nella stessa terra di Rolando. Non erano piccoli delinquenti, ma giovani maturi. Avevano, però, dimenticato i comandamenti del Signore: non nominare il nome di Dio invano, non ammazzare, non dire falsa testimonianza. Anzi, erano stati imbottiti di odio e indottrinati a combattere il cristianesimo, a umiliare i preti, a uccidere i parroci, a distruggere la morale cattolica. Ma niente di tutto questo era eroico e patriottico. E le iene non si fermarono nemmeno di fronte a un adolescente, annientando la sua vita e i suoi sogni, ma soprattutto macchiando la loro umanità e il loro cosiddetto patriottismo. […] Abbiamo sentito che, dopo la chiusura del seminario, Rolando era tornato al paese. Un giorno – 10 aprile 1945 -, dopo aver suonato e cantato alla santa Messa, prese i libri come al solito e si recò a studiare nel boschetto vicino. Fu catturato e rinchiuso in una stalla. Il ragazzo fu spogliato, insultato e seviziato con percosse e cinghiate per ottenere l’ammissione di una improbabile attività spionistica. Ma Rolando – fu accertato al processo penale di qualche anno dopo – non poteva confessare niente, perché le accuse erano totalmente false. Dopo tre giorni di sequestro, con una procedura arbitraria e a insaputa dei capi, il 13 aprile 1945, il ragazzo fu prima barbaramente mutilato e poi assassinato con due colpi di pistola, uno alla tempia sinistra e l’altro al cuore. In quel momento il sangue del piccolo martire non si sparse per terra, ma fu raccolto da Dio nel calice santo del sacrificio eucaristico. Non c’era nessuna mamma a piangere la morte del suo bambino. Secondo i testimoni oculari di quello scempio, i carnefici gettarono il corpo nella fossa e fecero della veste un macabro bottino di guerra. La talare fu appesa sotto il porticato di una casa vicina. Il carnefice, al padre angosciato in cerca del suo figliolo, disse semplicemente: «L’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo». Quel 13 aprile, cari fedeli, era venerdì e l’uccisione era avvenuta di pomeriggio. Il richiamo al venerdì santo e alla morte di Gesù è evidente. Un bambino consacrato a Dio in mano a uomini senza Dio. Quando il ragazzo vide la buca chiese di poter pregare. Si inginocchiò e in quell’istante lo fulminarono. Coprirono il corpo con un po’ di terra e poche foglie. Le iene aveva sbranato un agnello inerme. Se mai c’era valore nei combattenti, era stato per sempre disonorato da un’azione vile. Avevano umiliato e spento la vita di un loro figlio innocente, che, crescendo, li avrebbe solo benedetti, dando serenità e significato alle loro vite. La mancanza di umana comprensione fa risaltare di più la nobiltà e la fortezza del piccolo seminarista, che, anche nella sofferenza e nella umiliazione, mai aveva rinunciato a proclamarsi amico di Gesù. Il 15 aprile, domenica del Buon Pastore, ci furono i funerali. Il suo corpo martoriato fu portato in chiesa. C’erano solo poche donne vestite a lutto. Non ci furono canti e suoni. Ma non mancarono certo gli alleluja degli Angeli, che cantando accompagnarono il giovane martire in Paradiso. […] Pace, pace ci grida il nostro piccolo martire. Pace a tutti e con tutti. Riconciliamoci e perdoniamoci. Diventiamo uomini di pace. Amiamo la pace, costruiamo la pace, viviamo nella pace. Le nostre città e le nostre famiglie siano oasi di pace. Se ci convertiamo alla pace, se diventiamo costruttori di pace, non avremo più nemici da combattere e da annientare, ma solo amici da amare e da perdonare. E noi saremo benedetti dagli uomini e dal Signore. In tal modo il martirio del nostro Rolando non sarà stato invano. Amen

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