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La Recensione – Le leggi della stupidità umana

Difficilmente economista fa rima con umorista. Eppure, è stato così per Carlo M. Cipolla, pavese, morto nel 2000, che si è occupato come docente universitario in Italia e negli Stati Uniti dell’evoluzione del mondo della finanza nell’interazione con la società nel suo dipanarsi storico. Il Mulino ha da pochi mesi pubblicato un suo sapido saggio, illustrato da Ellekappa, il vignettista del quotidiano la Repubblica, intitolato Le leggi fondamentali della stupidità umana (pp 96, euro 15). Stampato per la prima volta in inglese nel 1976 e in italiano nel 1988, il testo enuncia cinque leggi fondamentali: 1) «sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di stupidi in circolazione»; 2) «la probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona»: quindi non esiste gruppo, per quanto elitario, che possa essere immune dalla presenza di gente stupida; 3) «una persona stupida è una persona che causa danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita»; 4) «le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore»; 5) «La persona stupida è il tipo di persona più pericolosa che esista» perché impoverisce non solo sé stessa ma l’intera società. Così si arriva alla divisione degli individui in quattro categorie: gli sprovveduti (agiscono cosicché perdono loro e guadagniamo noi), gli intelligenti (guadagnano tutti), i banditi (guadagnano causandoci una perdita) e gli stupidi, cui si affiancano i superstupidi «che, con le loro inverosimili azioni, non solo causano danni ad altre persone, ma anche a se stesse» (p. 56). Molto pericolosi gli stupidi che occupano posizioni di potere, un tempo in classe e casta, sia laica che ecclesiastica, oggi in partiti, burocrazia e democrazia. Interessanti anche le osservazioni sull’intrinseca apertura sociale della persona: «ci si pone sempre in relazione con gli esseri umani anche evitandoli. […] ognuno di noi ha una sorta di conto corrente con ognuno degli altri» (p. 37). Alla fine del saggio viene la tentazione di pensare che gli stupidi siano gli altri. Porsi invece con umiltà la domanda se, almeno ogni tanto, rientriamo anche noi nella categoria, ci farà bene.

Fabrizio Casazza

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