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“Aiutati che il ciel ti aiuta” la «Garra charrùa» e la fede

Martedì scorso il mio piccolo cuore calcistico ha patito per 92 minuti, fino a quando un giocatore uruguagio ha cambiato le sorti della partita con una rete, molto meno bella di quella del suo compagno di squadra, ma decisamente carica di “Garra charrùa”, subito invocata dal telecronista. In Uruguay questo è il termine con il quale si descrive lo stile di gioco sudamericano basato sulla “forza” non solo fisica.
La “garra”, che letteralmente significa “artiglio”, rimanda alla tenacia, quella grinta e quel desiderio che (anche se non sei particolarmente preparato o pronto) ti portano a raggiungere l’obiettivo.
La Garra charrúa è sintesi di tenacia e coraggio, non come valori assoluti ma come rimedio alle difficoltà. Insomma, ciò che rende l’impossibile possibile.
Apparentemente, questo modo di affrontare i problemi e le difficoltà è in contrapposizione con la Lettera pastorale del Vescovo, che invece ci dice di “lasciare spazio allo Spirito Santo”, mantenendo un atteggiamento interiore di fede, di attesa. E come possiamo vivere questa attesa? Con la Garra charrùa!
Un’attesa attiva, che cerca nelle relazioni e nella vita che accade “le frasi di Dio”, che riesce a leggere tra le righe della vita la nostra vocazione, che ascolta la sofferenza e che parla con il proprio agire.
Lasciamoci ispirare da Sant’Ignazio di Loyola: “Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo che tutto dipende da Dio”.

Enzo Governale
@cipEnzo

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