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Chiesa e migrazioni – «Chi ha paura dei migranti non li conosce veramente»

Lo scorso 28 settembre Caritas Italiana e Fondazione Migrantes hanno pubblicato il Rapporto Immigrazione 2018. Abbiamo chiesto a don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, di raccontarci novità e conferme del Rapporto di quest’anno.

Don Giovanni, il Rapporto Immigrazione 2018 ha come sottotitolo: “Un nuovo linguaggio per le migrazioni”. Perché?
«Un po’ è sotto gli occhi di tutti la differenza tra la realtà dei numeri e la “narrazione” della presenza nel nostro Paese dei migranti. Molti sono convinti di essere davanti a un’invasione, ma non è così: negli ultimi tre anni il numero degli stranieri in Italia è rimasto costante. Un altro luogo comune è che i migranti siano tutti musulmani, mentre invece sono solo il 28%. E potrei continuare… Esiste una distanza rilevante tra racconto della migrazione e realtà. C’è bisogno di un nuovo linguaggio per descrivere le cose come stanno»

Chi dovrebbe cambiare linguaggio?
«Spesso i media comunicano una realtà distorta, in cui alcuni elementi vengono amplificati e altri, invece, vengono silenziati. Ma la realtà che noi sperimentiamo non è quella che ci immaginiamo: anzi, quando abbiamo a che fare con persone concrete, il tono cambia. Ecco perché, paradossalmente, nei posti in cui non ci sono migranti la gente ha più paura di loro. Non li conosce, questa è la verità».

L’Italia è al primo posto tra i Paesi con il maggior numero di “nuovi cittadini” extraeuropei. Come va letto questo dato?
«Intanto effettivamente l’anno scorso sono diventati italiani poco più di 200 mila persone. Dunque, un certo numero di stranieri ha deciso di stabilizzarsi nel nostro Paese. Non è una presenza passeggera, anche se è un “picco” che tenderà a diminuire. Secondo la legge italiana, infatti, per avere la cittadinanza sono necessari dieci anni di permanenza effettiva sul nostro territorio, insieme con due o tre anni di attesa per i vari adempimenti burocratici. Quindi questi nuovi cittadini sono il frutto di arrivi di una quindicina di anni fa. Negli ultimi anni, invece, gli ingressi sono diminuiti: l’Italia non è più una meta interessante. Direi allora che il vero problema è l’esodo dal nostro Paese, sia degli italiani, sia degli stranieri. Per questi ultimi assistiamo a questo fenomeno: molti di loro partono di nuovo per l’Inghilterra o la Germania, alla ricerca di un futuro migliore per i loro figli. È una seconda emigrazione, insomma. La vicenda dei migranti sbarcati dalla nave “Diciotti”, e poi fuggiti dai centri di accoglienza, ha meravigliato solo chi non conosce questo mondo: chi arriva in Italia va via, non si vuole fermare. Mentre sono aumentati i permessi di soggiorno per i ricongiungimenti familiari».

Qual è dunque il vero pericolo per l’Italia?
«Gli italiani diminuiscono, il nostro bilancio demografico è negativo. Il pericolo è l’abbandono, non l’invasione. Noi abbiamo bisogno di gente che lavora e di giovani. Un esempio: in parrocchia da me a Bari, a fronte di una grande richiesta, non riusciamo a trovare delle badanti regolari. Il vero problema in Italia è la cattiva accoglienza: i cento che non fanno nulla o, peggio, spacciano davanti alla stazione oscurano gli altri novemilanovecento che lavorano onestamente».

Nel Rapporto si evidenzia l’aumento del 3,5% delle imprese formate da cittadini nati in Paesi extra Unione europea. In Campania l’aumento più cospicuo: +11,1%. Sono percentuali che indicano una modalità di integrazione attraverso il lavoro?
«È un dato positivo, e mi spiego. Sul mercato del lavoro gli stranieri sono generalmente penalizzati: guadagnano mediamente un terzo in meno degli italiani e, nell’85% dei casi, sono vittime delle cosiddette “segregazioni occupazionali”. Trovano cioè un’occupazione in ambiti delimitati: pensiamo alle badanti, alle colf, o a settori come l’edilizia, la ristorazione e l’agricoltura. Dunque, la crescita di imprese di cittadini stranieri manifesta una capacità positiva di iniziativa e di riscatto».

Parliamo un momento del caso delle mense nelle scuole di Lodi. Lei che cosa ne pensa?
«Purtroppo credo che più che l’esigenza di far rispettare dei sacrosanti doveri, ci sia un po’ la volontà di penalizzare le famiglie immigrate, purtroppo coinvolgendo i bambini. Chiedere dei certificati dal Paese d’origine, con traduzioni convalidate e chissà che altro, significa non conoscere cosa significa richiedere quel tipo di documenti in certi Stati, o voler semplicemente penalizzare delle famiglie che spesso vivono in condizioni di disagio. Ricordiamoci che gli italiani in condizione di povertà assoluta sono il 6%: gli stranieri il 33%».

E la vicenda legata all’arresto del sindaco di Riace Domenico Lucano?
«Non conosco da vicino questa realtà, ma a me sembra che si voglia penalizzare il successo del “modello Riace”, con la scusa di riportare la legalità. Quelle del sindaco Lucano sono irregolarità irrisorie, lui non ha avuto tornaconto. E mi colpisce vedere che i 700 abitanti di Riace, per lo più anziani, difendono a spada tratta il loro primo cittadino. È un modello in cui italiani e stranieri possono crescere insieme, rivitalizzando alcune zone dell’Italia e ripopolandole. Le misure messe in atto contro il sindaco mi sembrano sproporzionate. Anch’io in parrocchia ho dovuto fare delle irregolarità: ho ascoltato delle donne senza permesso di soggiorno per aiutarle a trovare lavoro. In teoria, per questo motivo, io e alcuni miei parrocchiani potremmo essere accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».

Lo sconfinamento dei poliziotti francesi a Claviere è stato un evento che ha colpito l’opinione pubblica. Lei come lo giudica?
«È un episodio molto, molto grave. Vedere che le istituzioni fanno qualcosa di illegale, in quel modo, certifica il fallimento di un’Europa che, invece di affrontare collegialmente il problema dei migranti, si rifugia in egoismi nazionalistici».

C’è una legge, relativa al tema della migrazione, che lei cambierebbe subito se fosse Presidente del Consiglio?
«Certamente da più parti si chiede una riforma della legge Bossi-Fini. Il fatto che tanti migranti in Italia siano diventati “regolari” grazie alle varie sanatorie che i diversi governi hanno dovuto promuovere nel primo decennio del 2000, dimostra l’inadeguatezza della legge. Temo che anche le ultime decisioni del Decreto Salvini faranno crescere la condizione di irregolarità nel nostro Paese: mi riferisco alla eliminazione della protezione umanitaria che regolarizza chi già lavora ed è integrato; o alla penalizzazione dello Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Di fronte a tutto questo, il nostro dovere è portare alla luce gli stranieri che vivono da noi e con noi. E non costringerli a nascondersi».

Andrea Antonuccio

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