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In salute – Ammalarsi di ospedale

Ammalarsi di “ospedale” si può. Soprattutto quando si è malati cronici con difese immunitarie già piuttosto compromesse. Accade così che ogni anno in Italia si verifichino fino a 700mila casi di infezioni ospedaliere su 9 milioni di ricoveri, l’1% delle quali con esito letale. Le forme contratte più frequenti sono le infezioni urinarie, quelle postoperatorie, le polmoniti e le sepsi. La buona notizia, tuttavia, è che il 30% circa di questi casi sarebbe potenzialmente prevenibile agendo sulle cause principali del fenomeno.

«Il primo problema è rappresentato dall’abuso di antibiotici che devono essere utilizzati solo sotto stretta prescrizione medica, mentre il loro uso inappropriato favorisce la comparsa di germi multiresistenti», spiega la professoressa Susanna Esposito, presidente di Waidid (Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici) e ordinario di pediatria all’Università di Perugia. «Urge in questo senso un approccio educazionale mirato alla popolazione: basti pensare che il 15% degli italiani considera erroneamente utile l’antibiotico per bloccare l’influenza e, in generale, le infezioni virali».

L’antibiotico-resistenza – fenomeno per il quale l’Italia risulta ai primi posti in Europa – assume una particolare rilevanza quando riguarda batteri responsabili di infezioni nosocomiali, rendendone più complicato il trattamento, specie in soggetti con patologie croniche, con conseguente allungamento dei tempi di degenza e incremento dei rischi per il paziente. Per contrastare le infezioni ospedaliere, che si verificano anche a causa di agenti virali comuni come il rotavirus, il virus respiratorio sinciziale e il virus dell’influenza, è poi necessario migliorare le pratiche igieniche e assistenziali, a partire dall’isolamento del soggetto malato al lavaggio delle mani, dalla disinfezione alla sterilizzazione dei presidi sanitari. Inoltre, i nuovi antibiotici indirizzati per la cura delle infezioni più gravi sono pochi (anche se sono allo studio nuove molecole e si prevede un nuovo utilizzo di farmaci già noti), ed è quindi importante che la loro somministrazione avvenga in modo ben regolamentato, attraverso gli specialisti in ambito ospedaliero, su una popolazione ben selezionata.

Un’arma significativa di prevenzione è infine rappresentata dal vaccino antinfluenzale. «Prevenendo gran parte dei casi di influenza il vaccino limiterebbe non poco l’eventualità di un ricovero ospedaliero per quei soggetti a rischio di complicanze, come i bambini fino ai 5 anni di età, gli anziani sopra i 64 anni e i malati cronici di tutte le età», conclude Esposito. «Ogni anno le complicanze dell’epidemia influenzale comportano infatti l’utilizzo di una rilevante quantità di antibiotici, non sempre necessaria e spesso dannosa».

Elena Correggia

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