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hand of a prisoner

Il punto di vista – Ero carcerato e mi avete visitato

Racconto di vita… Nel 2017, nella Casa circondariale “Marino del Tronto” di Ascoli Piceno, dove io svolgo il mio volontariato come vincenziana da qualche anno, conosco un detenuto, condannato a oltre dieci anni di carcere per omicidio. Grazie al cappellano lo incontro perché la piccola chiesa è vicina al locale della cucina dove lui presta saltuariamente il suo servizio. Avvertito della probabile mia visita quell’uomo mi viene incontro e mi chiede se può abbracciarmi. Ho il permesso di parlare un po’ con lui sotto la vigilanza della guardia carceraria. È una persona istruita e dice che gli piace leggere. Sua mamma, mia amica, lo ha informato riguardo a mio figlio autistico e della mia esperienza familiare descritta nel racconto lungo 93 pagine “Pensieri azzurri”. Gli dico che, se vuole, gli regalerò il testo e lui subito accetta con entusiasmo. Passa un po’ di tempo perché occorre prima farlo leggere alla direttrice del carcere, che poi dà l’approvazione per la consegna. Nell’attesa arriva il giorno della santa Pasqua e io chiedo di vedere il detenuto, senza preavviso, confidando nella giornata eccezionale, per salutarlo brevemente e fargli gli auguri. Resto piacevolmente stupita perché posso intrattenermi a dialogare più del necessario e in un locale appartato.

Benedetti quei momenti di confidenza e di serenità per entrambi! Poi non vedo più quell’amico detenuto, perché così lo considero, ma dopo un po’ di tempo ricevo una sua lettera in cui scrive che ha letto il mio racconto e lo considera “come quella che reputo una delle più belle stesure di introspezione che abbia mai letto”. Lo ha fatto con calma, ma ogni volta che doveva interrompere era per l’emotività che “mi sovrasta, non riesco più a trattenerla. La mia capsula d’isolamento, creata con tanta difficoltà, s’infrange, mostrando al mondo una sensibilità che in questo luogo è considerata debolezza e, di conseguenza, schernita. Intervallo la lettura ad altre attività ma, pur facendo altro, la mia attenzione va verso quel racconto”. Rispondo alla sua commovente lettera, lo ringrazio per gli apprezzamenti, lo invito, tra l’altro, a non avvilirsi di fronte allo scherno e all’indifferenza altrui e spero di continuare questa corrispondenza, benefica per entrambi. In seguito ho sue notizie: è trasferito in altro carcere lontano per un paio di mesi e attualmente risiede in un altro vicino ad Ascoli dove i suoi familiari hanno più possibilità di andare a fargli visita. Qui finisce la cronaca che ho voluto riferire per far pensare…

Purtroppo conosco persone che giudicano insignificante e inutile il volontariato nel carcere perché in questo modo non si risolvono i problemi dei detenuti, considerati anche come gente da evitare. Qualcuno mi ha detto se sono disposta ad accogliere in casa un ex detenuto, se sono capace di trovargli un lavoro e altro ancora. Onestamente, non mi ritengo adatta ad agire in quel modo, non avendo sol u z i o n i dignitose da offrire. Sono convinta, però, che ci siano altre occasioni da sfruttare a beneficio del detenuto, perché sono un arricchimento, non materiale, ma certamente spirituale. L’esperienza vissuta fino ad ora m’insegna che ho ragione. Ho dato consolazione e gioia nei soli due incontri ottenuti, fatto riflettere, colmato “la fame di sapere, di conoscere, ma soprattutto di capire” riguardo al problema dell’autismo, dato fiducia e umili consigli senza mai porre domande imbarazzanti sul suo passato, fatto respirare la speranza di migliorare, offerto la mia amicizia come sorella nella fede in cui entrambi crediamo. Forse è poco, ma è sempre meglio di niente. Non accetto, quindi, le critiche negative circa il volontariato nel carcere, per me e per tutti quelli che agiscono con amore da tanti anni e continuano in quell’opera di misericordia evangelica: “Ero carcerato e mi avete visitato”.

Adriana Verardi Savorelli

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