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La testa e la pancia – A proposito del capro espiatorio

L’espressione “capro espiatorio” è ormai entrata a far parte del gergo della nostra quotidianità ma pochi ne conoscono l’esatta origine: lo sfortunato animale, nell’antica tradizione ebraica, era infatti selezionato dal Sommo Sacerdote nel “Kippur”- per l’appunto il giorno dell’espiazione – quale vettore di tutti peccati del popolo destinato ad essere abbandonato nel deserto. Ecco quindi che, ora come allora, con l’espressione che abbiamo scelto per il titolo della nostra settimanale riflessione si fa riferimento ad un soggetto che, non necessariamente colpevole e, anzi, spesso incolpevole, viene sacrificato in nome di una particolare collettività.

Trasferendo la predetta discussione in ambito calcistico, il capro espiatorio per eccellenza è, generalmente, l’allenatore ogni qualvolta la situazione appare compromessa e, non potendo sostituire i vertici societari, né i calciatori – specie quando la stagione è ampiamente avviata – si finisce col far cadere la scure sul timoniere nella speranza, talvolta vana, talaltra destinata a soddisfazione, che le cose cambino. All’Alessandria è accaduto esattamente questo allorquando, solo una manciata di ore fa, il presidente ha deciso di dare il benservito all’allenatore al quale aveva affidato le sorti della sua squadra all’inizio del campionato dopo l’ultima, veramente penosa, prestazione casalinga totalmente negativa contro una formazione di bassissimo livello tecnico e tattico quale l’Arzachena (che, non a caso, si era distinta per il peggior ritmo partita del campionato e che, dopo aver collezionato soltanto sconfitte in trasferta è venuta ad espugnare il glorioso fortino dell’Orso).

Servirà? Chi scrive è convinto che questa squadra sia di livello assai modesto anche perché costruita male fin dall’inizio per errata strategia gestionale del suo presidente ed infelici scelte di mercato dei collaboratori dello stesso ma, ciononostante sono anch’io convito che la situazione fosse oramai irrimediabilmente compromessa e che il povero D’Agostino quand’anche non avesse commesso tutti quegli errori che una parte della stampa locale gli aveva addebitato, non avesse quantomeno neppure la possibilità di infondere nei suoi uomini quella giusta dose di carattere e di determinazione indispensabili a dare comunque il meglio di se stessi.

Giusta quindi la decisione di Di Masi di optare per un avvicendamento in panchina anche nell’ipotesi in cui D’Agostino fosse scevro di responsabilità ma, a tal punto, la domanda che ci si deve porre è un’altra: basterà questa decisione? E qui testa e pancia si rivelano più che mai divergenti, con quest’ultima che vuole credere di sì per cercare di salvare quantomeno la dignità di uno dei peggiori campionati dell’Alessandria e la prima che, purtroppo, non si illude più di tanto, e preferisce, passando dall’Antico al Nuovo Testamento, la linea alla San Tommaso del “fin che non lo vedo…”.

Silvio Bolloli

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