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Campi scuola… scuola di vita

Può sembrare “solo una settimana” ma ogni anno il campo-scuola ci sorprende per i segni profondi che lascia e per la fitta rete di relazioni che riesce a mettere in moto nei mesi precedenti. Non sono coinvolti solo gli organizzatori e i partecipanti, il valore più profondo è proprio nello scambio di esperienze che si estende alle famiglie e alle parrocchie. Tante sfaccettature, tante sensibilità, tante storie che aprono prospettive di un cammino che aiuta a crescere come persone e come comunità.

PARLANO I RAGAZZI - Compagnia e amicizie nuove... per sentirsi veramente a casa

PARLANO I RAGAZZI - Compagnia e amicizie nuove... per sentirsi veramente a casa

Emanuele di Castellazzo Bormida ha 13 anni e da alcune estati il campo-scuola è diventato per lui un appuntamento irrinunciabile: «Quello che ricordo con più piacere dei campi-scuola è la compagnia e le amicizie che si sono create». Per il giovane sono tre i buoni motivi per partecipare: «È una settimana molto divertente, si fanno passeggiate stupende e gli animatori sono bravissimi». Qualcosa da cambiare in questa esperienza? «Non cambierei nulla, perché il campo è già organizzato molto bene. Anzi no, una cosa la cambierei: vorrei durasse più di una settimana» racconta Emanuele.

Anche Valeria di Bosco Marengo, 11 anni, ci racconta la scorsa estate la sua prima volta al campo-scuola: «All’inizio avevo delle perplessità sul fatto di andare perché non conoscevo nessuno. Alla partenza c’è stata un po’ di malinconia, ma poi mi sono divertita tanto perché l’ambiente e tutto il gruppo mi hanno fatto subito sentire a casa». Lo conferma anche la mamma: «Quando la chiamavo per salutarla mi rispondeva di fretta perché voleva tornare alle attività con gli altri».

UN PARROCO - Un percorso che dura tutto l’anno

UN PARROCO - Un percorso che dura tutto l’anno

Don Mario Bianchi, parroco di Solero e Quargnento, e direttore dell’Ufficio amministrativo della diocesi di Alessandria, da molti anni aderisce insieme con i giovani delle sue parrocchie ai campi scuola per elementari e medie dell’Azione Cattolica Ragazzi. A lui abbiamo chiesto che cosa rappresenta questo percorso di crescita, che non si svolge soltanto nel periodo estivo.

Don Mario, da quanti anni partecipate ai campi Acr?
«Partecipiamo praticamente da quando sono diventato parroco a Solero, cioè dal 2005. In questi anni poi l’invito ai campi si è allargato ai paesi vicini, coinvolgendo molti ragazzi».

Ci parli di questa esperienza.
«Il campo è un’ottima occasione di crescita, di opportunità per i bambini e i ragazzi di uscire dai loro ambienti e di superare le loro difficoltà di relazione, di vincere le proprie emozioni, di imparare a gestirle e non a farsi gestire. L’esperienza del campo Ac si distingue per l’appartenenza: apparteniamo cioè alla Chiesa intesa come orizzonte di senso, di essere e fare comunità, al campo ma in continuità con la parrocchia e con la diocesi. L’esperienza del campo ha sicuramente aspetti importanti: prosegue cioè il percorso educativo dei ragazzi iniziato in parrocchia, ma al di fuori del loro contesto. È un’esperienza di incontro, di relazione con l’altro, di condivisione del tempo, del gioco, del vivere quotidiano, delle emozioni… in una cornice ben definita, con una connotazione di identità e con un suo stile: è la Parola di Dio che guida e illumina il campo».

Quali sono i frutti?
«Questo percorso apre una continuità nell’anno. Per gli animatori si crea una passione educativa e si fa gruppo: molti di loro poi diventano catechisti e animatori nelle parrocchie durante l’anno. Mentre, per gli “animati”, la sfida è offrire anche occasioni d’incontro durante l’anno, anche se non è molto facile. Ma se l’esperienza è stata positiva e si fa qualche cosa che la richiama, c’è sempre un riscontro positivo».

Che ruolo ricopre la preghiera?
«C’è sempre un personaggio biblico che guida la settimana, facendo così incontrare l’esperienza biblica con quella dei ragazzi. Intrecciando le due esperienza, i ragazzi sono chiamati a vivere la propria vita in base agli insegnamenti biblici. Questo, ovviamente, suddivisi per età. Un momento di preghiera al mattino e percorsi di catechesi durante la giornata ispirano l’attività formativa e il gioco. Poi ovviamente c’è la Messa conclusiva e le confessioni».

Cosa direbbe a chi è indeciso?
«Gli direi che è un’esperienza che arricchisce la fede di molti ragazzi, ma anche di divertimento e amicizia che rimarrà nel cuore. È vedere un volto giovane della Chiesa, che fa bene a tutti. Per poi ritornarci durante la Festa Popolare di Torgnon».

 

UNA MAMMA - Un’esperienza che fa maturare i figli

UNA MAMMA - Un’esperienza che fa maturare i figli

Gianmarco Perez e Chiara Ferrari hanno tre figli: Marco di 25 anni, Anna di 16, e Laura, che ne compie 10 a maggio. Abbiamo chiesto a Chiara di raccontarci la sua esperienza dei campi Acr, visti dalla parte delle mamme.

Chiara, cosa sono stati i campi scuola dell’Acrper la tua famiglia?
«Sicuramente un taglio del cordone ombelicale (sorride). I nostri figli ci sono andati sin da piccoli: per loro è stata la prima volta via da casa da soli, senza genitori e senza nonni».

Eravate un po’ preoccupati, all’inizio?
«Sì, non te lo nascondo. Anna, che adesso ha 16 anni, è andata tra la prima e la seconda elementare. Un po’ “fuori quota”… ma voleva esserci a tutti i costi, addirittura senza conoscere nessuno. Mio marito è più “sportivo” di me, ma io ero un po’ in apprensione. E tutte le sere la classica telefonata la facevo, mentre il papà cercava di trattenermi, dicendomi: “Almeno falla una sera sì e una no”. Ma quando Anna rispondeva al telefono capivo che le davo quasi fastidio… la penultima sera le ho detto: “Che bello, amore, domani torni”. E lei: “Mamma, non disturbarmi, sto facendo il pigiama party!”. Mi sono accorta che era serena e indipendente: qualcosa di buono era passato».

E poi?
«Non ha più smesso di andare, almeno fino alle superiori. E quando ha finito lei, ha cominciato sua sorella, Laura. Ne ha già fatti due, di campi, e adesso si prepara per il terzo». E il fratello? «Marco, che adesso ha 25 anni, ha cominciato un po’ più avanti ma è rimasto come animatore. Questo è un segno sicuramente positivo, di un’esperienza che serve e fa maturare. Per me e per mio marito è sempre stato tutto molto positivo».

Un aneddoto?
«Mia figlia Anna aveva convinto un po’ di compagne di classe a partecipare con lei ai campi, facendo una pubblicità pazzesca. Mi ricordo che al campo una di loro tutte le sere piangeva, e io mi sentivo un po’ in colpa. Quando, dopo una settimana, è ritornata a casa, non appena ha visto la mamma, prima ancora di salutarla, con un piede ancora sul pullman le ha detto: “Il prossimo anno ci torno di nuovo!”».

Quindi i genitori possono stare tranquilli?
«Certo. Oltretutto tra gli animatori c’è anche chi si preoccupa di mettere sul gruppo di Whatsapp dei genitori un bel po’ di foto ogni giorno. Così da casa siamo coinvolti nelle cose che fanno i nostri figli, e un po’ le “viviamo” anche noi».

 

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