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Quando arte e fede si incontrano – I giovani si mettono in gioco Anche grazie a Caravaggio

Eccellenza, lei è appena tornato da Roma, dopo una gita di tre giorni con i ragazzi delle superiori. Domanda scontata: com’è andata?
«La risposta non è così scontata (sorride): bene, molto bene! Abbiamo incontrato dei giovani che si sono messi in gioco e hanno manifestato uno stupore, un’attenzione che in quest’epoca di analfabetismo spirituale e religioso colpisce molto, perché traccia un identikit di apertura e disponibilità senza preclusioni aprioristiche. Ma è stato bello anche il rapporto con i docenti che sono venuti in gita».

Quali reazioni ha suscitato in lei l’impatto con le opere di Caravaggio?
«Ho colto innanzitutto una “premeditazione” così accurata che non mi sarei potuto nemmeno immaginare. Soprattutto ho colto una lettura avida, da parte di Caravaggio, delle opere dei suoi contemporanei e predecessori, che lui stesso in qualche modo cita nei suoi quadri. Mi è sembrato di cogliere in questo processo il suo forte desiderio di emergere: un tassello in più nella scoperta della personalità di quest’uomo che sappiamo aver avuto dei trascorsi molto travagliati, non soltanto per la vicenda dell’omicidio commesso, ma anche per la ricerca spasmodica di qualcosa, anche di spirituale, che si è tradotto poi in espressione artistica».

L’opera che le è rimasta più impressa? E perché?
«Direi innanzitutto la “conferma” della Vocazione di San Matteo, che veramente esprime una profondità e una bellezza straordinarie nel descrivere l’interazione tra le problematiche della vita umana, rappresentate dalle persone con gli abiti di foggia contemporanea a Caravaggio, e la sempiternità di Cristo e della Chiesa, rappresentata dagli abiti più antichi di Gesù e di San Pietro. Ma l’opera che mi si è svelata in questo viaggio, in particolare, è l’insieme della Conversione di San Paolo e della Crocifissione di San Pietro, che conoscevo come “immagine” ma non avevo mai visto dal vero. Queste due opere richiamano la Cappella Paolina in Vaticano, nella quale Michelangelo Buonarroti aveva dipinto gli stessi soggetti. Mi colpisce la forza espressiva della luce in Caravaggio rispetto a Michelangelo, e lo sguardo di Pietro presente in entrambi gli autori: il Santo potrebbe sembrare in una torsione innaturale del corpo, vista dalla prospettiva di chi osserva l’opera; inoltre non si capisce che cosa Pietro stia guardando, ma si rivela improvvisamente nel momento in cui uno si va a posizionare in prossimità del tabernacolo, da dove il corpo è in una posizione naturale e lo sguardo è inequivocabilmente rivolto a Cristo. Come per imparare l’arte del dare la vita per amore».

Caravaggio fu un personaggio molto controverso, un grande peccatore… eppure realizzò opere meravigliose.
«Io direi che il Caravaggio è un personaggio estremamente complesso, che non può essere infilato tout court in una casella in cui si distinguono i buoni dai cattivi, i religiosi dagli empi, i santi dai peccatori. Caravaggio era una personalità con una sensibilità fuori dal comune, di grandi aneliti e anche di grandi cadute. Un uomo capace di dipingere opere meravigliosamente religiose, e allo stesso tempo scrivere con gli amici dei sonetti volgari, capace di impegnarsi in un cammino spirituale in un ordine cavalleresco e di commettere un omicidio. Ma anche capace di mettersi a servizio di un cardinale e avere un atteggiamento da bullo… è il mistero di una persona indubitabilmente straordinaria, che si è lasciata interrogare in modo vero da quello che faceva. Ed è forse anche per questo che quello che dipingeva ci sembra così vero».

Andrea Antonuccio

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