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La recensione – Don Andrea Santoro, l’anima di un pastore

Andrea Santoro nacque a Priverno (Latina) nel 1945. Trasferitosi nella capitale con la famiglia, nel 1958 entrò nel Seminario Romano frequentando i corsi teologici alla Pontificia Università Lateranense. Ordinato presbitero nel 1970 operò come viceparroco prima e parroco poi, finché dieci anni dopo trascorse in Medio Oriente un anno sabbatico, che si rivelò decisivo per le scelte future. Al suo rientrò in diocesi fu fondatore e parroco della comunità di “Gesù di Nazareth” e successivamente dei Santi Fabiano e Venanzio fino al 2000 allorché, dopo lunghe trattative con il cardinale vicario Camillo Ruini, partì come missionario fidei donum (ossia prete diocesano “imprestato” a un’altra diocesi attraverso apposita convenzione temporanea) per il Vicariato Apostolico di Anatolia. Il 5 febbraio 2006 venne assassinato in chiesa a Trabzon mentre leggeva la Bibbia in lingua turca. Profeticamente nel 1996 scrisse: «Il fondamentalismo musulmano è in espansione anche in Turchia con problemi e pericoli di ogni genere» (p. 229).

Anche se non è stata iniziata ufficialmente la causa di beatificazione come martire, è ancora molto vivo il suo ricordo. Le edizioni San Paolo con il titolo “L’anima di un pastore” (pp 382, euro 25) hanno appena pubblicato le sue lettere, suddivise per temi e destinatari. Traspare dagli scritti la sua passione apostolica ed ecclesiale: «i discepoli di Gesù, prima di aver bisogno di costruirsi una chiesa, hanno bisogno di essere una chiesa. […]. Sempre dobbiamo ricordarci che il Dio di Gesù è un Dio di uomini (un Dio di pietre vive, non un Dio di mattoni morti)» (p. 21), scriveva ai fedeli nel 1981. Don Santoro pensa la Chiesa non come monolite in cui chi ha una sensibilità diversa viene tacciato di essere ribelle non in comunione: egli desidera una comunità composta da soggetti «non così uniti da spegnere la diversità, non così diversi da soffocare l’unità» (p. 174). I laici devono avere per lui un ruolo essenziale, tanto che egli in Medio Oriente volle come compagni per condividere la missione alcuni di essi. Diffuso appare negli scritti un anelito a una vita spirituale più intensa. Nove anni prima di partire per la Turchia manifestava al cardinale Ruini il desiderio di stare più in silenzio e più ritirato, desiderio che divenne crescente nel tempo, tanto che nel 2003 scrisse all’arcivescovo Cesare Nosiglia, all’epoca Vicegerente di Roma, il dubbio se «ritirarmi in una solitudine più modesta» (p. 277). Il volume aiuta a conoscere in profondità questo straordinario testimone della fede, non esente da dubbi, incertezze, scoramenti ma fiducioso che il Cristo risorto, sempre presente nella sua Chiesa, incessantemente accompagna il cammino dei credenti verso la Gerusalemme celeste.

Fabrizio Casazza

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