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Figli e figli d’arte: buon sangue non mente

LA TESTA E LA PANCIA

Dopo l’exploit nel salto in lungo di Larissa Iapichino, figlia di Fiona May

Il recente, strepitoso, successo di Larissa Iapichino (nella foto) – figlia di Fiona May e medaglia d’Oro ai Campionati Europei del salto in lungo – mi ha fatto, inevitabilmente, ripensare al fenomeno dei figli d’arte sul rettangolo erboso del campo di calcio. Tanti  ce ne  sono stati ma, ancor più, sono stati quelli che ci hanno provato: il precedente più celebre si era avuto con Sandro Mazzola, uno dei migliori talenti del calcio italico degli anni ’60, nonché fromboliere dell’Inter pigliatutto di Angelo Moratti e Helenio Herrera, che era diretto discendente di Valentino, mitico capitano del grande Torino e giocatore più rappresentativo del calcio nostrano nell’immediato Dopoguerra.

Sandro Mazzola

Più di recente, non si può non pensare a Nicolò Zaniolo e Federico Chiesa – sulle cui spalle poggiano buona parte delle speranze dei calciofili azzurri del prossimo decennio – i quali son figli di due giocatori che, sia pur con carriere di differente importanza alle spalle, hanno segnato pagine importanti nel professionismo italiano (peraltro, Igor Zaniolo, papà di Nicolò, ha indossato per un certo periodo anche la maglia grigia dell’Alessandria). Se, però, guardiamo all’altra metà del cielo, e pensiamo a quelli che, pur provandoci, non ce l’hanno fatta, l’elenco, come poc’anzi si diceva, è ancor più lungo, e tale da mettere a dura prova la psiche degli sfortunati, mancati, campioni: si va dal povero Davide Lippi, che in un allenamento si sentì apostrofare con l’espressione “cambiati i cromosomi”, al più celebre Diego Armando Maradona Jr., che ci provò, ed ebbe anche le sue buone chance, ma dimostrò di non essere all’altezza del leggendario papà.

Nomi a parte, e ad ogni buon conto, sorge poi sempre il dubbio della validità dei meccanismi di selezione: corsia agevolata per via del nome o giudizio ancora più impietoso in conseguenza del fardello ereditato? E allora, la frase forse più giusta resta quella dell’indimenticato Cesare Maldini allorquando, allenatore dell’Italia Under 21, convocò il figlio Paolo per il suo primo azzurro importante e, a scontata domanda dei giornalisti, semplicemente rispose che la sua era stata una scelta dovuta non come padre, ma come selezionatore, perché, (e questo lo aggiungiamo noi) suo figlio era veramente il più bravo.

Silvio Bolloli

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