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Responsabili: come civilizzare il mercato

La recensione

L’economista Stefano Zamagni e il suo ultimo libro edito da “Il Mulino”

Uno degli effetti positivi della crisi economica, cominciata negli Stati Uniti nel 2007 e poi estesasi su scala mondiale (e forse non ancora del tutto superata), è il ripensamento del modello di riferimento nelle transazioni e nella finanza. Si è trattata, in effetti, di una crisi entropica, caratterizzata da un collasso del sistema, da cui si può uscire solamente superando la «cultura dell’individualismo libertario» (p. 143) che è alla radice del disastro: «non sono tanto le mele marce a creare problemi quanto piuttosto coloro che costruiscono la cesta» (p. 151). Il docente universitario Stefano Zamagni, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, conclude che «l’economia mai potrà avere un’esistenza utile separata dall’etica, sempre che voglia continuare a riconosce a sé stessa la capacità sia di interpretare la realtà sia di concorrere a modificarla» (p. 213). È il filo rosso del suo ultimo libro, Responsabili. Come civilizzare il mercato (Il Mulino, pp 248, euro 15). In fondo, spiega il testo, il concetto di responsabilità, tornato in auge negli ultimi anni, ha il pregio di riportare la dimensione morale nel discorso economico, ma non in modo estrinseco, come una “spruzzata” finale e filantropica su una costruzione orientata diversamente. Si tratta, infatti, d’impostare la riflessione sul prendersi cura, mettendo al centro la persona con la sua dignità inviolabile, attraverso una riappropriazione della politica come impegno a costruire il bene comune e superando un’impostazione riduttiva basata sull’individualismo.

Allora le imprese non dovranno limitarsi a rispettare le regole del gioco ma dovranno riscrivere le regole ormai obsolete, puntando a uno sviluppo umano integrale con una vita buona in comune, lavorando innanzi tutto sulle motivazioni interiori degli individui. La giustizia sociale deve recuperare un posto fondamentale per combattere sia le disuguaglianze sia la distruzione del pianeta, determinate ultimamente da un paradigma antropologico fallace; al contrario, «la scienza economica deve ripensare, a livello dei suoi fondamenti disciplinari, il rapporto tra uomo e natura, superando quella concezione di “uomo senza vincoli” che porta a ritenere lecita ogni devastazione» (p. 229). D’altronde, a essere in crisi è prima di tutto il modello di soggetto come mero consumatore, che si limita – per usare una metafora – a scegliere tra le opzioni del menu; nei fatti la tendenza è che si sta passando «dalla società dei consumi, alla società dei consumatori» (p. 87), che vogliono essere attivamente coinvolti nella composizione del menu. Una parte importante occuperanno sempre di più le «tecnologie convergenti» (p. 159), quelle nate dall’intreccio tra nuove scoperte, innovazioni biologiche e scienze cognitive, spingendo però in senso oligarchico anche la democrazia. Sta mutando la nozione stessa di scienza, che non ha più come obiettivo «la conoscenza della realtà, ma l’acquisizione di una sempre maggiore capacità di intervento e di manipolazione sulla stessa» (p. 162). L’atteggiamento giusto non è il tentativo di fermare il progresso per impedire la disoccupazione: in fondo «dopo Gutenberg scomparirono gli amanuensi, ma nacquero i librai!» (p. 166). «Quel che va fatto allora è favorire, con politiche intelligenti e coraggiose, il trasferimento del lavoro “liberato” dal settore capitalistico dell’economia al settore sociale della stessa» (p. 170), partendo dal presupposto che «il lavoro si crea; non si redistribuisce quello che già c’è» (p. 171).

Da non sottovalutare anche il problema delle macchine intelligenti nella loro interazione con gli esseri umani: vanno considerate soggetti agenti moralmente responsabili? Il dibattito è agli inizi e assolutamente aperto. Si profila, purtroppo, una società segnata da fortissime disuguaglianze, tra coloro che potranno usufruire dei potenziamenti tecnologici e chi ne sarà escluso: «la grande sfida ora è quella di definire una governance del digitale che preveda adeguate istituzioni e organismi in grado di rendere esecutivi quei divieti» (p. 200) di profilazione e manipolazione con algoritmi. Il libro imposta questioni, apre scenari, indica soluzioni non semplicemente tecniche ma fondative, riassumibili in un cambio del paradigma antropologico: in questo sta sicuramente il suo pregio. Il professor Zamagni sarà in Piemonte nel pomeriggio del 22 ottobre, per tenere a Torino la prolusione di apertura del nuovo anno accademico della Facoltà teologica.

Fabrizio Casazza

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