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Fine vita: noi che cosa possiamo dire?

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,
sul numero di questa settimana troverete un approfondimento sul “fine vita”: dall’intervista al vescovo qui in prima pagina (da leggere, per le prospettive che apre) al nostro paginone centrale, che prova a fare un po’ di chiarezza sul tema. L’argomento è all’ordine del giorno: tutti ne parlano, alcuni forse anche un po’ a sproposito. La Corte costituzionale, dopo il suo comunicato stampa del 25 settembre 2019 (manca ancora la sentenza, come ci ha fatto notare il professor Balduzzi nell’intervista a pagina 7) ha ritenuto non punibile per il reato di aiuto al suicidio il radicale Marco Cappato, che aveva accompagnato in una clinica svizzera per la morte “assistita” un ragazzo cieco e tetraplegico, Dj Fabo.

Non so voi, ma a me tutta questa vicenda fa sorgere alcune domande. Esiste un “diritto a morire”, anche se a certe condizioni? E si può rispondere a un dolore cieco e sordo, apparentemente senza speranza, evocando quei valori cattolici (la vita come dono, per esempio) che, pur nella loro verità, non vengono più riconosciuti come evidenti dalla maggioranza delle persone? Siamo a ottobre, Mese missionario straordinario (a pagina 2 approfondiamo l’argomento con don Valerio Bersano): di fronte a questioni così laceranti, qual è allora la nostra missione? Richiamare i valori ogni volta che siamo interpellati, o mostrare agli altri che anche una vita non al massimo delle possibilità (come quella di Dj Fabo, per esempio) è degna di essere vissuta fino in fondo? Insomma (perdonate la brutalità): possiamo continuare a offrire al mondo soltanto le nostre belle e sante parole? O serve altro?

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