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Tensione turca: tra campo e social

Sport e politica

L’operazione di Erdoğan e il saluto militare dei giocatori

Sport e politica, mai come in questi giorni, sembrano così vicini. Due mondi così diversi, ma legati da un filo rosso, chiamato nazionalismo. Ma andiamo con ordine. Mercoledì 9 ottobre, la Turchia ha dato inizio all’operazione “Fonte di Pace”, attaccando il nord-est della Siria. I motivi di questa operazione militare sono tanti e complessi. Il principale lo descrive il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, nel suo editoriale al Wall Street Journal: «I flussi di rifugiati siriani, la violenza e l’instabilità ci hanno spinto ai limiti della nostra tolleranza». Ankara vuole così rimandare almeno due milioni di profughi siriani, attualmente in Turchia, nella sottile striscia di territorio oggi amministrata dai curdi. Questa decisione ha causato un effetto domino, scatenando reazioni e commenti da tutti, anche da chi di politica non si occupa.

In particolare ha fatto discutere l’esultanza della Nazionale turca in occasione dei gol siglati nelle gare per le qualificazioni all’Europeo del 2020: prima nel match vinto con l’Albania (1 a 0) e poi nel pareggio (1 a 1) con la Francia. I giocatori turchi, schierati in fila orizzontale, rivolti verso i propri tifosi, si sono esibiti nel saluto militare a sostegno di Erdoğan e dei soldati in guerra. Non sono stati gli unici gesti a fare rumore. Merih Demiral, difensore turco della Juventus, con un tweet ha appoggiato l’operazione in Siria; il romanista Cengiz Ünder (nella foto qui sotto), sempre su Twitter, ha postato una sua “esultanza militare”.

Non è andata bene invece a Cenk Sahin, il centrocampista del St. Pauli (che milita nella Serie B tedesca), che si è schierato apertamente a favore dell’invasione: il club tedesco lo ha licenziato definendolo «incompatibile con i valori della società». Dall’altra parte dell’oceano il cestista turco dei Boston Celtics, Enes Kanter, continua la sua lotta contro Erdoğan: «Non vedo e non parlo con i miei genitori da cinque anni. Hanno imprigionato mio padre. I miei fratelli non riescono a trovare lavoro e ogni giorno ricevo minacce di morte». Sport e politica, mai come in questi giorni, sembrano essere così vicini.

Alessandro Venticinque

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