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«Educare significa camminare a fianco»

Facoltà teologica dell’Italia settentrionale

Intervista al cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica

È stato celebrato il 20° anniversario dell’avvio del ciclo di specializzazione in teologia morale con indirizzo sociale presso la sezione torinese della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale a Torino. Abbiamo interpellato il cardinale Giuseppe Versaldi (nella foto), che attualmente è Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e che nei primi anni del corso di licenza ne fu professore.

Come poter educare oggi sia nelle facoltà teologiche, sia in ambito più generale della pastorale, in un mondo che Lei conosce bene essendo stato parroco, vicario generale dell’Arcidiocesi di Vercelli e Vescovo di Alessandria?
«L’educazione deve essere un atteggiamento che corrisponde a una visione antropologica ben precisa; deve essere da parte dell’educatore una capacità di camminare a fianco, di accompagnare le persone, non imporsi, perché il giovane che cresce deve essere aiutato a scoprire e conoscere se stesso, le proprie capacità e i propri talenti, e la scuola deve offrire l’occasione di una crescita che sia attenta a queste doti personali con una struttura che abbia come modello quella che è l’antropologia cristiana e anche la visione teologica: una comunità in cui circola l’amore, dove c’è solidarietà, attenzione ai più deboli, per elevare tutti insieme il tenore di vita non solo nelle università ma anche nelle società nelle quali le nostri istituzioni vivono».

Il nostro è un ciclo di specializzazione in teologia morale sociale. Che ruolo può avere la morale in campo sociale?
«Se la morale è fondata sulla teologia e su una visione umana, antropologia connessa con la teologia, mette insieme i due aspetti: quello verticale e quello orizzontale. Non dimentichiamo, c o m e ha detto Gesù, che tutta la legge è riassunta nei due comandamenti: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutto se stessi; e il secondo, che è simile al primo, è quello di amare il prossimo come sé stesso. Sono tra loro così collegati che non si possono separare, senza venir meno a quella che è l’identità della nostra fede cristiana. Vorrei sottolineare che sono collegati nell’ordine che ha detto Gesù: l’amore di Dio è il primo e l’amore del prossimo è il secondo; noi possiamo anche sforzarci di amare gli altri, un amore di abnegazione, ma non abbiamo la forza di amarli se non attingiamo alla sorgente».

A proposito di teologia morale e sociale, possiamo dire che il nostro ciclo di specializzazione è stato fecondo perché da esso sono già germinati un master in bioetica e un corso in comunicazioni sociali. Come si inseriscono nella missione educativa della Chiesa?
«I due temi sono di una attualità e sensibilità evidenti: la bioetica e tutto il campo della vita umana, la sua origine, il suo termine con tutte le problematiche e le sfumature che hanno spinto anche le persone non credenti a uscire dallo stretto cerchio della scientificità, della scienza, per chiedere anche una visione etica e per permettere di risolvere i casi così difficili che sono limite sia nella nascita che nella morte delle persone. La comunicazione poi è oggi veramente lo strumento che può condizionare, in modo estremamente positivo o negativo, perché un messaggio mal comunicato va perso o addirittura può portare a contraddizioni. Molto importante educare dai seminari e nelle nostre scuole: bisogna che ci siano dei corsi per poter diventare padroni degli strumenti che usiamo».

In conclusione, Eminenza, sono passati vent’anni da quando un suo predecessore ha accettato ufficialmente l’istituzione del nostro ciclo di specializzazione in Teologia morale con indirizzo sociale, su impulso anche della Conferenza Episcopale Piemontese dell’epoca. Dopo vent’anni, che augurio si sente di rivolgere per il nostro lavoro?
«Prima dell’augurio anche la gratitudine. Vent’anni sono una tappa importante e vuol dire che c’è stata perseveranza e collaborazione e sappiamo che in tempi di scarsità di mezzi e di persone non era facile perseverare: quindi la gratitudine mia e anche della Congregazione verso questa istituzione. L’augurio è che ci sia quel rinnovamento che chiede anche la nuova costituzione Veritatis gaudium di papa Francesco, con la quale auspica quei quattro criteri che ci sono nel proemio, soprattutto quella della interdisciplinarietà e del mettersi in rete».

Fabrizio Casazza

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