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L’intervista a Pierluigi Seymandi

Suor Elvira per noi è come una madre.
Grazie a lei abbiamo potuto fare qualcosa di buono

Pierluigi, tu e Rosalba come avete conosciuto la Comunità Cenacolo?
«L’opera la conosciamo da sempre, almeno da trent’anni. Noi siamo originari di Saluzzo, io ho vissuto a San Lorenzo, nella Casa madre, per quattro anni, perché mio padre e mia madre erano insegnanti delle elementari proprio lì. Dove c’è la sede del Cenacolo, infatti, c’era una scuola, e davano anche alloggio alla famiglia del maestro. Mio fratello è nato lì… Insomma, un legame molto stretto».

Come siete arrivati a Montecastello?
«Era la casa del mio primario, il professor Bosio: io ci andavo spesso con i bambini e mia moglie, per me era un posto bellissimo. Ma l’idea che sarebbe potuta diventare qualcosa di utile l’ha avuta inizialmente mia moglie Rosalba, dopo una visita alla fraternità del Cenacolo a Medjugorje. Mi ricordo che una volta, entrando, disse: “Ecco, questa potrebbe essere la casa della Comunità”. Avevamo cominciato a coltivare il pensiero che, se ci fosse stata l’occasione, in qualche modo ci saremmo impegnati. Era il nostro punto fermo: quando la casa è andata all’asta e noi lo abbiamo saputo, ecco, in quel momento tutto è cambiato. Era il 2008».

Raccontaci com’è andata.
«Quella casa l’avevamo pensata per la Comunità, non per noi. Quindi, prima di partecipare all’asta, abbiamo telefonato a Madre Elvira, per capire se la riteneva una cosa utile per la sua opera. Le avevamo mandato anche una lettera che, come abbiamo scoperto in seguito, non le era mai arrivata. Così siamo andati a parlarle di persona. Era un periodo in cui la Comunità stava aprendo diverse case per le missioni all’estero. Poi Madre Elvira è venuta a vedere la casa, che era chiusa da anni: c’era un’apertura nel recinto e siamo entrati da lì, in mezzo alle spine. Lei l’ha vista solo da fuori, ma se la ricordava, perché quando abitava a Valle San Bartolomeo passava spesso da quelle parti in bicicletta. Ha guardato il terreno, senza dire né sì, né no… avrebbe sottoposto la questione al consiglio della Comunità. Ma ricordo che, prima di tornare indietro, prese dalla tasca una manciata di medagliette miracolose e le lanciò nel cortile davanti alla casa. Dicendo che, se Dio avesse voluto, l’opera si sarebbe compiuta».

E poi?
«Dopo qualche giorno ci chiamò e ci disse che visto che noi eravamo di Saluzzo, io avevo vissuto nella Casa madre, lei conosceva il posto, il luogo le era piaciuto, tutti avevano detto di sì. C’erano troppi motivi che impedivano di rifiutare… Potevamo procedere!».

C’era ancora da vincere l’asta.
«Eh già. L’asta non si svolse ad Alessandria, poiché la casa la aveva ereditata un cugino della moglie del professor Bosio, che non aveva figli e parenti. L’asta era a Lucca: era marzo 2008 e mi trovai lì, stranamente senza “concorrenza”. Riuscii ad aggiudicarmela al primo colpo, alla stessa cifra che mia madre, ancora in vita, aveva deciso di darmi come anticipo sull’eredità. Senza sapere dell’asta, o della casa: che coincidenza, eh?».

La famiglia era d’accordo?
«Quando ho detto a mia mamma che avremmo donato la casa alla Comunità Cenacolo, lei era d’accordo. E così i nostri figli».

Poi tutto è filato liscio…
«Eh, mica tanto. Prima di darci la casa, ci hanno fatto diverse questioni perché c’era qualche divergenza nel metraggio dei terreni. Il giudice non firmava, ci ha fatto attendere sei mesi. L’atto lo abbiamo fatto a settembre 2008, e a ottobre sono arrivati i primi ragazzi. Me lo ricordo bene, il giorno in cui sono arrivati. Abbiamo celebrato la Messa: era il 24 ottobre, l’11° anniversario della morte di Matteo. E infine, nel luglio del 2009, c’è stata l’inaugurazione della casa e di questa nuova fraternità, intitolata al Beato Pier Giorgio Frassati. Madre Elvira era lì con noi».

Chi è Madre Elvira, per te e tua moglie?
«Per noi è una madre. Le siamo molto legati perché grazie a lei abbiamo potuto fare qualcosa di buono. Ha degli occhi eccezionali: quando ti guarda dà sempre l’impressione che tu sia nel suo cuore, è una cosa bellissima».

Ti chiedo qualcosa di Matteo. Come ha “influito” su tutta la vicenda, secondo te?
«Sicuramente la morte di nostro figlio Matteo ha inciso sul nostro percorso di maturazione e di conversione. Siamo cambiati molto, io e Rosalba. La morte di Matteo l’abbiamo “metabolizzata” con il lavoro e, soprattutto, con la fede. Io di Matteo parlo sempre volentieri, per me è come se fosse qui. E la sua morte è stato lo stimolo, il “campanello”».

Siete stati molto generosi.
«Chissà quanta gente potrebbe fare una cosa di questo tipo… Gente che ha tante possibilità, ma non sa bene come impiegarle. Probabilmente a queste persone manca la motivazione: con il progetto giusto si possono fare cose grandi. Se penso a me e a Rosalba, posso dire che la casa di Montecastello non siamo andati a cercarla, ci è capitata: noi non abbiamo fatto niente, abbiamo solo ascoltato i segni».

Ma il denaro ce l’avete messo voi…
«Mah, c’erano questi soldi dei miei genitori, io non sapevo bene come impiegarli. A me non avrebbero comunque cambiato l’esistenza… Usarli in questo modo è stato un investimento in umanità, per tutti e anche per noi: l’investimento più azzeccato della nostra vita».

 

Nulla è impossibile a Dio

In occasione del XXV anniversario della Comunità, è stato realizzato questo libro, “Nulla è impossibile a Dio “ che ripercorre le tappe e gli sviluppi di questi anni attraverso le immagini: dalle prime pagine con le foto “storiche” degli inizi sino alle missioni… per dire “grazie” a Dio per tutti i miracoli del Suo amore. Da non perdere!

 

 

 

Andrea Antonuccio

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