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Il ruolo della Chiesa nel secondo dopoguerra

In un’Italia sofferente vescovi e sacerdoti a difesa della popolazione

Nei primi mesi del secondo dopoguerra, l’Europa presentava i caratteri di una devastante distruzione; soprattutto nei territori centrali e orientali del continente, ex Reich tedesco e regioni polacche, nonché della Russia occidentale (Ucraina, Bielorussia, Transnistria…), le città erano ridotte a ruderi costituiti da qualche brandello di muro traballante. Alla distruzione fisica e materiale, si accompagnava una caduta morale di autentica riduzione di ogni umanità; gli stessi eserciti di occupazione si facevano troppo spesso protagonisti di violenze inedite anche per ogni regola prevista, nelle contingenze belliche, dai trattati internazionali. In questo scenario apocalittico spiccava un’inevitabile latitanza delle istituzioni che solo lentamente e, per fortuna, grazie ad alcune personalità di riconosciuto spessore civile e culturale, riusciranno a ristabilire dei rapporti avvertiti e rispettabili.

Nell’immediato però solo la Chiesa sembrava tenere un atteggiamento di presenza e di rispettabilità; nonostante alcune inevitabili ambiguità, anche di resistenza di antisemitismo (ma non di razzismo) e nonostante alcuni trascorsi di compromesso coi totalitarismi (spesso però “ad maiora mala vitanda”), nei vari Paesi d’Europa soprattutto la Chiesa cattolica restava di riferimento alla popolazione. Caso particolare e specifico l’Italia. Nel territorio nazionale, benché sofferente di distruzioni importanti, la situazione non era drammatica come nelle regioni succitate; tuttavia la latitanza istituzionale presentava tutti i caratteri di una vergogna che una storiografia, tanto attenta quanto informata, ha identificato con la morte della nazione. A fronte dell’occupazione tedesca e delle carneficine di una guerra civile, tutte le autorità centrali e periferiche si davano alla fuga; pressoché nessuna teneva la “barra” del proprio compito istituzionale. Di fronte alla deriva complessiva, in Italia, più che altrove restava la risorsa della Chiesa cattolica. Il papa Pio XII, per quanto in pericolo nella Roma in mano ai tedeschi, rimaneva nella sede del suo ministero; i vescovi rimanevano nelle loro diocesi esponendosi ai più diversi pericoli anche nella difesa di una popolazione, altrimenti abbandonata a se stessa; sacerdoti e laici si prodigavano nella difesa dei più esposti alle persecuzioni di ogni tipo, razziali in prima istanza. Una pagina rilevantissima veniva scritta nella difesa degli ebrei.

Ben 157 istituti religiosi maschili e femminili, nella sola Roma ospitarono alcune migliaia di persone a rischio deportazione; il tutto grazie a una rete organizzata e consapevole di soccorso. Senza una tale voluta organizzazione (volontà che talora viene negata o rimossa) sarebbe stata impossibile un’attività tanto notevole quanto meritoria. Nelle regioni settentrionali, a Genova, Torino e Milano in particolare, quando il Delasem (Delegazione per l’assistenza agli emigrati ebrei) non riuscirà più a intervenire, saranno le diocesi a salvare centinaia e migliaia di persone. Un’attività straordinaria e una presenza riconosciute, ma molto spesso sottovalutate. Forse sta invece in questa presenza la pagina più straordinaria di intervento per ridare dignità alla popolazione e ristabilire le coordinate di un’umanità offesa dalla guerra.

Agostino Pietrasanta

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