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La Carità è accompagnare

Giampaolo Mortara, direttore Caritas

«Andare solo a Messa non basta, manca un pezzo. Aiutare il “diverso” completa la nostra fede»

Uno sguardo rivolto sempre agli ultimi, ai più deboli, ai più fragili. Una porta sempre aperta ad accogliere chi un pasto caldo non può permetterselo, chi un posto per dormire non ce l’ha, chi non può far fronte alle spese mediche, chi cerca conforto nel sorriso e nelle parole di un volontario, di un amico. Questi sono solo alcuni dei servizi che ogni anno la Caritas diocesana offre ai più bisognosi: una macchina di volontari che con il contributo di cittadini, parrocchie e associazioni porta avanti questa opera preziosa. Noi di “Voce” nel 2020 cercheremo di raccontarvi meglio questa realtà, portandovi dentro alla mensa della domenica sera in via delle Orfanelle 25, svolto dai volontari di parrocchie, enti e associazioni. Prima però abbiamo voluto fare quattro chiacchiere con il direttore di Caritas, Giampaolo Mortara, (nella foto qui sotto) su questa iniziativa. E non solo…

Giampaolo, da quanto si svolge il servizio dei volontari alla mensa domenicale in Caritas?
«Questo servizio è nato nel 2015, siamo partiti con cinque parrocchie e poi il numero è aumentato. In questi cinque anni il gruppo è cresciuto non solo nel numero di volontari: abbiamo 17 gruppi che si avvicendano. Un numero che è aumentato anche grazie a una positività dell’esperienza. Noi non abbiamo insistito più di tanto con questa iniziativa, c’è stato un passaparola “naturale”».

Come funziona?
«È un impegno che comporta un impegno totale, perché noi diamo ai gruppi solo il luogo e le attrezzature. La parte organizzativa è a carico dei volontari. Il servizio non dura solo quelle due ore in cui viene servito il cibo, dietro c’è un lavoro. Che parte proprio dal trovare volontari, recuperare prodotti alimentari, cucinarli, servirli e infine pulire e riordinare. Un lavoro che nella parte finale coinvolge solo un gruppetto, ma a monte c’è chi anima e mette in moto una buona parte della comunità. Questo è un aspetto positivo che va rimarcato».

Come vedete cambiare i gruppi di volontari?
«Con il passare del tempo vediamo nei gruppi un’apertura, un coinvolgimento, un voler stare insieme alle persone che vivono momenti di difficoltà. Questo servizio viene fatto alla domenica sera, un momento di festa della settimana. Senza togliere nulla a chi offre questo servizio durante la settimana, la cena della domenica è un momento diverso rispetto al solito, un po’ com’è in tutte le famiglie».

Si tratta solo servire un pasto caldo, o c’è di più?
«(Sorride) Ovviamente c’entra la fede in tutto questo. In tante persone questo aspetto spirituale c’è già, ma mi piace pensare che in altre persone questo servizio sia anche un modo per avvicinarsi alla fede. Mi è difficile dare una risposta per gli altri, mi viene più facile dire quello che sento io».

Per te allora cosa c’entra la fede?
«Posso dire che senza fede tutto questo non lo riuscirei a fare. Il perseverare su certe situazioni, su certe realtà, il modo di approcciare l’altro… se non ci fosse una dimensione di fede, mi fermerei. Tenere sempre la porta aperta, soprattutto quando si ha a che fare con persone “difficili”, diventa complicato senza una fede a cui aggrapparsi».

Quanto fa bene a una comunità un’esperienza di questo genere?
«Fa molto bene, perché ti avvicina a una realtà da cui si cerca di rimanere fuori, o più semplicemente non si vuole vedere. E anche a livello di fede, di conseguenza, fa aprire gli occhi, perché solo andare a Messa non basta. Manca un pezzo. La celebrazione domenicale e l’Eucarestia non possono finire a mezzogiorno quando esci dalla chiesa. Lo stile cristiano serve anche durante la settimana, con la famiglia, i colleghi, e anche verso chi ci sembra più lontano, o che a volte tendiamo a tenere lontano perché reputiamo “diverso”, per la sua vita o per le sue scelte. Secondo me proprio questo tipo di esperienza va a completare la nostra vita cristiana».

Che cos’è per te la carità?
«La carità è una forma di amore verso gli altri e il prossimo. In modo concreto è stare accanto alle persone, accompagnarle, avere con loro delle relazioni. Chi viene in Caritas chiede prima un aiuto materiale, che in quel momento è una necessità primaria. Io dico però che conta più l’aspetto dell’accompagnare, anche dal punto di vista umano, e dell’educare. Molte volte la soluzione e i percorsi che proponiamo a queste persone a noi sembrano più giusti, e magari per loro non lo sono. Ecco, la carità non è stare davanti per “fare” strada e indicare la giusta via, ma è mettersi a fianco e fare un cammino insieme».

Alessandro Venticinque

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