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L’intervista a Monica Mondo

«Le domande dell’uomo sono universali: possiamo trovare un legame anche con chi non crede»

Scopriamo chi è Monica Mondo

Torinese, laureata in Lettere classiche, Monica Mondo vive a Roma, dove lavora come autore e conduttore a Tv2000. Ha scritto per diverse testate giornalistiche, di cultura e politica; ha lavorato nell’editoria e per la radio. Tra gli altri, per l’editore Marietti ha pubblicato due romanzi: “Sarà bella la vita” e “Il mio nome è Khalid”. Per l’editore Cantagalli un saggio con il cardinal Georges Cottier “Selfie. Dialogo sulla Chiesa con il teologo di tre papi”, e per la San Paolo una biografia di Giovanni Falcone con la sorella Maria “Le idee restano”. Ha tre figli fantastici, ama la Chiesa cattolica e, si parva licet… Tolkien, la Juventus e Springsteen. testo tratto dal sito www.tv2000.it/soul/monica-mondo

Monica, come è nato “Soul”?
«È nato nel 2014 per il desiderio, mio e di Tv2000, di “andare a fondo” sulle grandi domande della vita. Sono convinta che proprio le domande sono ciò che ci unisce, creando un forte legame di umanità. La scommessa vera, per me, è incontrare l’altro, non solo intervistarlo. Questi incontri sono, come li chiamo io, “ritratti a parole” di persone che per qualche motivo mi interessano, al di là della popolarità».

La prima intervista in assoluto?
«Quella con Laura Boldrini, allora presidente della Camera dei deputati, il 13 dicembre 2014. Volevamo partire da persone con un’immagine antipatica, e allora abbiamo iniziato con i politici (ride). Poi ci siamo resi conto che sarebbe stato meglio ampliare l’orizzonte. Anche per non essere in qualche modo “usati”».

L’elenco dei suoi ospiti, più di 300 in questi anni, è davvero impressionante: premi Nobel, artisti, scrittori, religiosi… Come fa a contattarli?
«Con i miei collaboratori leggo i giornali, chiamo le case editrici, contatto gli amici… Le strade sono tante».

Lei non intervista solo cattolici, tra l’altro.
«Le domande dell’uomo sono universali: è possibile trovare un legame con tutti, anche con chi non crede o è di un’altra confessione. L’unico requisito è che le persone siano sincere: deve proprio scattare una scintilla di sincerità e di voglia di comunicare».

Qualche esempio?
«Ho trovato una profonda spiritualità in molti che si dicono atei. Con alcuni ci sono stati anche dei battibecchi, perché non nascondo mai quello che penso. L’intervista con Galimberti (Umberto, filosofo e sociologo italiano, ndr), per esempio, è stata una “lotta” tra me e lui, ma alla fine avrei voluto abbracciarlo. Non dobbiamo occultare le domande vere della vita, anche se spesso ci illudiamo di poterci accontentare dei nostri piccoli desideri. Ma non è così».

L’incontro più commovente?
«Oltre a Galimberti, ricordo quello con il filosofo Emanuele Severino (nel tondo, durante l’intervista), scomparso solo un mese fa: una persona garbata, rispettosa, disposta a dialogare e a riconoscere i propri errori. Sono rimasta molto colpita anche da Sister Serena, suora di Madre Teresa. La sua fede era al di là di ogni possibile replica, quasi non riuscivo a farle delle domande… Una santità vissuta, così desiderosa del martirio, mi ha sconvolto».

E un’intervista di cui si è pentita?
«Eh (sospira)… Senza fare nomi, mi è successo con qualche politico e con almeno un paio di giornalisti molto famosi, perché volevano a tutti i costi mantenere la loro immagine. Incapaci di andare al di là dell’ideologia, insomma. Peccato».

Chi le manca? Non vale dire papa Francesco.
«Allora le dico Benedetto XVI, perché ci sono tante cose che ancora non si sanno di lui. Ma vorrei anche parlare con i sacerdoti e i religiosi in Iraq e in Siria, sono loro che muovono il mondo. Mi piacerebbe intervistare Al-Tayyib, l’imam che ha accolto papa Francesco ad Abu Dhabi. E poi Greta Thunberg, per vedere se è possibile parlarle così come parlo con mia figlia, senza uffici stampa o altri filtri. In generale vorrei incontrare dei maestri: ma non ne vedo molti, in giro».

A proposito: i suoi, di maestri?
«Scrittori e poeti come Pavese, Fenoglio, Luzi, Rigoni Stern… e poi don Luigi Giussani (fondatore di Comunione e Liberazione, ndr), che conobbi da ragazzina e che mi colpì per la sua chiarezza nell’uso della ragione. Ma anche tante persone sconosciute incontrate nella vita».

Che cosa vuol dire per lei “comunicare”?
«Comunicare significa entrare in comunione con gli altri. La radice di “comunicare” e “comunione” è la stessa».

C’entra qualcosa la fede?
«“Soul” per me è un’esperienza di fede, innanzitutto per lo stupore di accorgermi della fantasia di Dio nelle persone in cui Lui mette una scintilla di Sé. Tanto più in quelle da cui meno me lo aspetto… La sera, quando torno a casa dopo un’intervista, mi capita spesso di pensare: “Guarda che bel dono ho ricevuto oggi”».

Che comunicatore è papa Francesco?
«Penso che il Papa soffra di una sorta di “ipercomunicazione”, ma solo per alcune cose che dice, spesso sintetizzate in maniera superficiale dai media. Francesco è una persona profonda, anche se molte sue frasi rischiano di essere ridotte a slogan, che così scorrono via come l’acqua, annoiano e si dimenticano in fretta. Credo che la capacità del Papa di comunicare si possa comprendere soprattutto dai gesti, dagli abbracci, ma anche dalle arrabbiature. Lancio una provocazione: nella serie televisiva “The Young Pope”, a un certo punto il Papa scompare, e da quel momento, paradossalmente, tutti cominciano a cercarlo. A dimostrazione che il silenzio spesso obbliga ad andare a fondo di alcune parole, aiutandoci a capirle meglio e a coglierne il valore».

Carta stampata, tv, radio, Internet: lei dove si sente più a suo agio?
«In radio, senza dubbio, anche se non la faccio più da tempo. Ho iniziato proprio in una emittente diocesana, Radio Proposta, e lì ho scoperto che la Chiesa ha tante voci. E in ognuna c’è qualcosa che stupisce».

Ultima domanda. Come si sta in una famiglia che vive di pane e giornalismo?
«Avendo orari diversi facciamo fatica a ritrovarci insieme a cena, ma abbiamo un vantaggio: la curiosità e il dialogo continuo su tutto quello che capita. Non “stacchiamo” mai: non per un dovere che ci imponiamo di rispettare, ma per una passione. Anche se un dovere, sicuramente, ce l’abbiamo: quello di farci provocare dalla realtà».

Speciale a cura di Andrea Antonuccio

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