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Papa Francesco e il rapporto con Wojtyla

“La recensione” di Fabrizio Casazza

“San Giovanni Paolo Magno” è il titolo non di una biografia del Pontefice morto nel 2005 ma di un dialogo, pubblicato da edizioni San Paolo, tra il suo attuale successore e don Luigi Maria Epicoco (pp 127, euro 12). In effetti il sacerdote, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Aquila, tra il giugno 2019 e il gennaio 2020 ha interpellato papa Francesco sul suo rapporto con il predecessore, che lo nominò vescovo nel 1992 e cardinale nel 2001.

L’intrecciarsi delle biografie non può che condurre a ricordi e valutazioni autobiografiche, come l’ammissione di aver esercitato in Argentina i primi ruoli di responsabilità «con eccessiva fermezza» (p. 27), fino al punto di essere «percepito da molti come un conservatore» (p. 89). Da qui nasce una considerazione sull’opportunità di affidare ai giovani cariche importanti. Afferma il Santo Padre che si tratta di «una risorsa, ma deve essere usata nel momento giusto, nelle condizioni giuste e con lo spirito giusto. […]. Il pericolo è sempre lo stesso: l’orgoglio. Questo per me è il pericolo per tutte le età, ma soprattutto quando uno è giovane, perché ha molte energie e si accorge di averle, e questo lo può far cadere in tentazione» (p. 55).

In ogni caso per dirigere servono «coraggio e timore insieme. Dalla mescolanza di queste due caratteristiche nasce la prudenza. La prudenza è la vera virtù del governo» (p. 54). Oggi la Chiesa deve fare tesoro degli insegnamenti di san Giovanni Paolo II ma anche «difenderlo da ogni forma di ideologizzazione e poterne cogliere le intuizioni profetiche, che non soltanto sono ancora valide, ma hanno bisogno in questo momento di essere ulteriormente approfondite, prese sul serio, declinate secondo quello che è il nostro contesto attuale» (pp 92-93).

Ai nostri tempi una delle maggiori minacce è rappresentata dalla teoria del Gender, che – spiega il Papa – «si propone implicitamente di voler distruggere alla radice quel progetto creaturale che Dio ha voluto per ciascuno di noi: la diversità, la distinzione.

Far diventare tutto omogeneo, neutrale. È l’attacco alla differenza» (p. 103). La strada giusta è un’altra: «non è l’annullamento della differenza che ci renderà più vicini, ma è l’accoglienza dell’altro nella sua differenza, nella scoperta della ricchezza nella differenza» (p. 104). Interessante anche la risposta circa i rapporti con gli ebrei, che propone una triplice distinzione: sono il popolo eletto e quindi bisogna sentirci in comunione con loro, lo Stato d’Israele ha diritto di essere riconosciuto, il giudizio sul governo che lo amministra nelle varie epoche rientra nella normale dialettica politica.

Da incorniciare il giudizio finale del Pontefice: la grandezza del predecessore è «nascosta nella sua normalità. Ci ha mostrato che il cristianesimo abita la normalità di una persona che vive in comunione profonda con Cristo» (pp 124-125).

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