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La solitudine spezzata

“La recensione” di Fabrizio Casazza

Erik Varden (nella foto di copertina), classe 1974, norvegese, di famiglia luterana, durante gli studi universitari a Cambridge si converte al cattolicesimo. Insegnante al college, lascia tutto per entrare nei Monaci Cistercensi della Stretta Osservanza. Nel 2011 viene ordinato presbitero e nel 2015 eletto abate della comunità trappista di Mount St. Bernard a Leicestershire (Gran Bretagna).

Presso l’Università di Cambridge consegue il dottorato in teologia e presso il Pontificio Istituto Orientale a Roma la Licenza in Scienze Ecclesiastiche Orientali. In seguito, insegna presso il Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo a Roma, lavorando in pari tempo per la sezione scandinava della Radio Vaticana.

Nell’ottobre scorso papa Francesco lo nomina prelato di Trondheim, circoscrizione ecclesiastica in Norvegia con poco meno di quindicimila fedeli e una decina di sacerdoti; l’ordinazione episcopale, inizialmente prevista per gennaio, non si è ancora potuta celebrare a causa di sopraggiunti problemi di salute del vescovo eletto. Le edizioni Qiqajon del monastero di Bose nei mesi scorsi hanno pubblicato il suo “La solitudine spezzata” (pp 151, euro 16).

L’esperienza della pandemia mostra, anche ai più recalcitranti, che «per vivere, bisogna imparare a guardare la morte negli occhi» (p. 8). Per questo «essere umili significa essere vigorosamente veritieri» (p. 21). Tuttavia, soprattutto in una prospettiva di fede, non si tratta di autodenigrarci e abbatterci: «Anche se siamo polvere, non possiamo mai trovare pace nell’essere soltanto polvere, perché abbiamo conosciuto il tocco gentile delle dita di Dio. […].

Un essere umano è polvere chiamata alla gloria, rimanere in questa tensione è una sfida: servono tempo e ferma determinazione per ritrovarsi riconciliati con essa. Accettare che la mia natura sia definita da un senso di incompletezza così ampio che l’ordine della creazione non può in nessun modo risanare – nessun possesso, nessun obiettivo raggiunto, nessuna relazione – significa abbracciare una povertà radicale» (p. 25). In poche parole, anche in questo periodo di prova ciascuno di noi può dire: «sono una polvere che ha nostalgia di gloria» (p. 34).

Chi mai allora può essere all’altezza della chiamata di Gesù a essere suo discepolo? «Essere degno non vuol dire essere innocente: l’eucaristia non è un premio per il buon comportamento. Essere degno è acconsentire alla realizzazione dell’esempio di Cristo nella mia vita. Impegnarsi alla novità dello stesso. Il Signore non ricerca una perfezione immediata, ma richiede coerenza nel modo in cui viviamo» (p. 88).

Questo libro, che nel racconto proprio della solitudine spezzata pare molto autobiografico, come una sorta di effusione del cuore, aiuta a scoprire la propria fragilità, a non spaventarsene e a lasciarla illuminare e trasfigurare dalla croce gloriosa del Risorto.

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