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Gravina contro Ghirelli, e la C soffre

“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli

L’incredibile teatrino del calcio in occasione del Covid-19 pare essere giunto all’ultimo (ma non è ancora detto) capitolo, quello della Serie C: qui, nel nome di una presunta faida tra il presidente della “Federcalcio”, Gabriele Gravina (a sinistra nella foto), e il suo ex braccio destro Francesco Ghirelli (a destra nella foto) – numero uno della terza serie italiana – abbiamo assistito all’ennesima pantomima. Infatti, se da un lato Ghirelli (in ciò spalleggiato da 51 società su 60) ha ribadito che la Serie C non ha nessuna intenzione di riprendere a giocare, e l’ha pure spiegato, Gravina si è espresso in senso direttamente opposto (leggi anche Il calcio degli squilibri tra presente e futuro).

Sia ben chiaro, ogni posizione deve essere presa in seria considerazione e analizzata sotto tutti i suoi aspetti a condizione però che sia seriamente motivata e quella di Gravina, in tutta franchezza, a me proprio non lo è sembrata tenuto conto del fatto che il numero uno del calcio italiano si è limitato ad un laconico riferimento alla bellezza della competizione e della sfida tra gli uomini in campo ed alla necessità di permettere il pallone di dire nuovamente la sua.

Argomentazioni decisamente sterili, specie in un periodo di assoluta emergenza sanitaria in cui la parola deve darsi solamente agli esperti e ogni comportamento ha da essere rigorosamente disciplinato da idonei protocolli sanitari. Da Gravina, in tutta franchezza, mi sarei aspettato qualche cosa di più solido e convincente. Per contro credo che la posizione della quasi totalità delle società del campionato di Serie C, in questo con la piena solidarietà del loro rappresentante di punta Ghirelli, non possa essere trascurata anche perché, questa sì, è stata sorretta da ragionamenti assolutamente validi, magari non condivisibili ma di sicuro fondati. Quali?

Principalmente l’assenza di un impianto idoneo a poter garantire il rispetto di un protocollo importante ed impegnativo quale quello ipotizzato per le società di Serie A, a cominciare dalle strutture idonee ad effettuare gli allenamenti in condizioni di sicurezza – sia come campi che come servizi accessori – all’opportunità di tenere gli uomini isolati, magari organizzando trasporti differenziati, allo scopo di prevenire e se del caso di disciplinare eventuali situazioni di positività.

Detto in altre parole, e non per dar ragione a Ghirelli o al presidente dell’Alessandria Di Masi (che della linea maggioritaria è uno dei più autorevoli e convinti esponenti) ritengo che se 51 società su 60 – che magari fanno già i salti mortali per tenere i bilanci in ordine – affermino che sia opportuno finirla qui, la Federazione giuoco calcio non possa far finta di nulla aggrappandosi alla sola importanza di mantenere viva la competizione, a maggior ragione laddove ci si riferisce a un mondo forse in via di estinzione in cui i pochi presidenti che ancora resistono lo fanno in modo quasi eroico, perlomeno dal punto di vista finanziario.

In cuor mio mi auguro che ci sia ancora la possibilità di tenere fermi ai box le società di C in attesa di un più sereno 2020-2021 ma, se così non dovesse essere, spero almeno che questa sia veramente l’ultima puntata di un teatrino che ha talora rasentato la comicità.

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