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La presenza viva di Gesù – Terza parte

Testimoni della sua resurrezione:
un percorso in quattro puntate, alla scoperta delle rivelazioni di Gesù

Giovanni ha sicuramente riportato nel suo Vangelo le parole di Gesù dopo la sua risurrezione e non solo quelle citate nel contesto pasquale ma anche quei discorsi “sul regno di Dio” di cui fa menzione il libro degli Atti. Proviamo dunque a far emergere il nucleo centrale, ciò che Gesù aveva più a cuore e che voleva che gli apostoli comprendessero.

Nei capitoli citati (dal 14 al 17) scopriamo fondamentalmente un’indicazione e un concetto che si ripetono più volte: accogliere lo Spirito e rimanere in Dio. Sono concetti che fanno riferimento al mistero della comunione con Dio, una comunione non astratta, teorica ma pratica: essere-in-Dio. Gesù è colui che rende possibile questa inabitazione, come dice in Gv14,1, dove dichiara di andare a prepararci un posto nel quale poter dimorare con Lui.

Questo “posto”, è Dio stesso, il suo cuore inteso come la sua realtà più intima, là dove hanno posto solo i “figli” rinati da Lui. Ma mi sembra di poter dire che sia anche la Chiesa, intesa come mistero, sacramento di comunione tra il cielo e la terra; essa è un luogo, un posto in cui abitare con Dio! Infatti questa è l’immagine più forte e più vera della Chiesa: figli che abitano nel cuore del Padre! Ed è soltanto Gesù la “via” per giungere ad esso. Infatti Gesù rivela sé stesso come la “Via”, cioè l’unico in grado di portarci nel mistero dell’intimità con il Padre, per mezzo dello Spirito.

Provate a rileggere i discorsi di Gesù immaginando che li pronunci come il Risorto, apparso ai discepoli… personalmente mi emoziono! Riascoltate quando Gesù, dopo aver parlato del posto preparato, dice ai discepoli che li aspetta una missione immensa: addirittura faranno cosa più grandi di quelle che ha fatto a lui… «…chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14,12); non sembrano le parole di chi sta per ascendere al Cielo? Sono indicazioni che preparano la missione della Chiesa ma mentre è in atto una formazione al mistero che è Dio.

Provate a continuare la lettura sulla “vite e i tralci”: è una catechesi sul mistero della comunione trinitaria; “rimanere” è il verbo che esprime la vita in Dio e solo rimanendo in Lui si porta molto frutto anche se per questo è necessaria la potatura. Gesù parla di sé stesso, del suo rimanere nel Padre, della potatura che è la croce e, proprio per questo, del “più” frutto che essa produce ma è anche la descrizione di ciò che il discepolo deve vivere altrimenti “si secca” e lo gettano via perdendo l’unione con Gesù. Sono versetti che devono essere letti con calma, vivendoli nella preghiera perché si possa assaporarne la fragranza.

I sacramenti e in particolare il battesimo, attuano il mistero della comunione intima con il Signore ma è altrettanto vero che questo dono necessita di una continua riscoperta e approfondimento. La consapevolezza di abitare in Dio e di essere abitati da Lui infatti può essere qualcosa a cui ci si abitua perdendone la forza vivificante: tutti i giorni partecipiamo al mistero eucaristico, ci cibiamo del corpo del Signore ma questo incontro non sempre risveglia in noi lo stupore e la gioia; dovrebbe essere invece come per la Maddalena al sepolcro, quando riconosce il Risorto e, precipitandosi verso di lui, vorrebbe stringergli piedi gridando: “rabbunì” (che significa: maestro mio!); o come Giovanni sul lago di Genezaret quando riconosce Gesù Risorto sulla riva e sussurra a Pietro con trepidazione: “è il Signore”!

La Pasqua – contenuta ed espressa dall’eucarestia – è il tempo in cui il discepolo impara cosa significhi “rimanere in Dio”. La presenza di Gesù in noi e la nostra in Lui è sicuramente uno degli argomenti di cui Gesù parla durante le sue apparizioni. Se è vero che il Vangelo di Giovanni riporta questi insegnamenti, credo ne troviamo sicuramente traccia nel capitolo 17: «perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (Gv 17, 21-23).

Gesù afferma che la comunione intima con Lui ha un effetto missionario: “perché il mondo creda che tu mi hai mandato”, e perché il mondo faccia esperienza e conosca l’amore di Dio. Il fine, lo scopo della comunione con Dio dunque, è la testimonianza dell’amore del Padre per tutti i suoi figli e nel portare tale amore nel mondo intero. In questo consiste la missione della Chiesa e quindi di ciascuno di noi: condividere, donare l’amore del Padre! L’amore di Dio dovrebbe essere il motivo del nostro agire, l’anima delle nostre azioni, un amore misericordioso che sa mettersi a servizio e sa offrirsi come Gesù, per la vita del mondo.

Un’ipotesi pastorale: perché non pensare per le comunità cristiane, il tempo pasquale come un tempo caratterizzato dalla mistagogia sui sacramenti, un percorso di fede che, attraverso i sacramenti, possa farci entrare sempre più nel “Regno di Dio”, inteso come mistero d’amore: il battesimo dice il riferimento alla resurrezione di Cristo: è il sacramento della nostra rinascita; l’Eucarestia, condivisa da Gesù nelle apparizioni durante il tempo Pasquale, è il sacramento della morte e risurrezione del Signore, l’Alleanza che riconcilia Dio e l’uomo nella comunione. Esprime la comunione della Chiesa, sia essa su questa terra come quella che già è nella gloria, con il Signore; infine il sacramento della Cresima in rapporto alla Pentecoste come sacramento che abilita alla missione.

Ritengo che come Chiesa abbiamo una risorsa straordinaria di Grazia dalla quale attingere per una rinnovata esperienza di evangelizzazione. Vedremo la prossima volta come lo Spirito ci plasmi per una missione di nuova evangelizzazione.

A cura di padre Giorgio Noè

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