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Di nuovo al lavoro/2 – «In questa epoca recuperiamo il significato di ciò che facciamo»

Intervista alla psicologa Alessandra Lugli

Dopo un periodo travagliato come quello che abbiamo vissuto, rimettere piede in ufficio ha un sapore di normalità ma potrebbe portare con sé anche non poche inquietudini. Come aiutare i lavoratori a gestire al meglio la situazione? Lo abbiamo chiesto alla psicologa Alessandra Lugli della Asl di Alessandria.

«Anzitutto, chi all’interno delle aziende ha un compito di coordinamento è necessario che interiorizzi che cosa è successo alle persone che ha davanti, perché il luogo di lavoro diventerà uno scenario su cui si riproporranno gli aspetti vissuti durante il lockdown. Iniziamo con il ricordare che ciascuno di noi ha praticato il proprio mondo interno come mai accaduto prima: il distanziamento sociale ha significato anche fare un viaggio dentro noi stessi. Abbiamo maneggiato quotidianamente dei bisogni fondamentali (la paura della morte, il bisogno di legami affettivi), e siamo stati costretti a vivere la casa 24 ore su 24. Un altro aspetto che ha caratterizzato questa epoca è stata la diffidenza nei confronti dell’autorità: essendo di fronte ad un virus nuovo, a tutti i livelli c’è stata incertezza su come gestire la pandemia, abbiamo sperimentato delle forme di autorità disorientate e talvolta confuse. Siamo stati abituati ad un’autorità che ci sostiene, mentre in questi ultimi tempi la pandemia ha messo in discussione anche l’attendibilità di chi avrebbe dovuto guidarci. È possibile che questo sentimento di precarietà si riversi anche sulla figura del nostro leader sul lavoro: i capi devono essere preparati».

Che aiuti concreti si possono mettere in campo?
«È importante che i capi sappiano creare uno spazio di ascolto dei dipendenti nell’ambito della settimana, dove poter ascoltare senza dover fare altre attività. I leader stessi devono essere supportati e aiutati, magari attraverso percorsi di supporto alla leadership individuale: ricordiamo che hanno compiti di coaching nei confronti dei dipendenti e che l’efficienza delle persone è anche il prodotto di quanto si sentono supportati. Una proposta per tutti potrebbero essere dei percorsi di gruppo dove i lavoratori e il capo riescono a ricongiungere il pre e il post coronavirus e a ripensare buone pratiche da mettere in campo per il futuro».

​Come aiutare il rientro di chi è stato malato?
«Questa malattia lascia uno strascico di allarme e un bisogno di proteggersi in chi l’ha contratta. Quando un ex-malato rientra sul posto di lavoro, si dovrebbe cautelare con accorgimenti molto concreti: pause più frequenti, gestione dei tempi e dei carichi mentali che vanno negoziati. Il medico competente che l’ha seguito nella fase di malattia dovrebbe essere il “traduttore” delle esigenze della persona una volta rientrata in ufficio: dovrebbe aiutarlo a capire quali sono in questo momento i suoi bisogni e come spiegarli ai colleghi e al capo. Un altro suggerimento pratico è quello di potenziare i comitati aziendali e paritetici, gruppi di lavoro in cui si analizzano nel complesso le condizioni di benessere dei lavoratori in maniera concertata: sono contenitori che dovremmo riuscire a rendere non solo dei dispositivi formali ma anche operativi, per trovare dei percorsi di conquista della normalità».

Come aiutare chi è in telelavoro?
«Sfatiamo un pregiudizio: non è vero che si lavora meno e ricordiamo che le aziende che lo praticano con un po’ di storia alle spalle hanno ridotto l’assenteismo e il turnover. In questo momento è particolarmente complicato organizzarsi perché non tutte le agenzie sono allineate sullo stesso livello di comprensione delle esigenze dei lavoratori: pensiamo al il mondo della scuola dove non si è raggiunta una sufficiente integrazione con le esigenze delle famiglie. Una buona pratica concreta sullo smart working è quella di farlo diventare un dispositivo di lavoro come gli altri, che lo renda accessibile a tutti ma al contempo anche controllabile: non deve essere visto come un privilegio ma come uno strumento. Nella sua natura è un lavoro per obiettivi, e questo dovrebbe consentire di realizzare una pianificazione del lavoro e un piano di organizzazione, in modo da facilitare il controllo dalla parte dell’azienda e il coordinamento con i colleghi. Questa è un’epoca del recupero della natura delle cose: torniamo ad essere esploratori, cerchiamo di inventarci un nuovo mondo».

Zelia Pastore

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