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«Proprio come don Bosco, consacriamo la vita ai ragazzi»

Intervista a don Corrado Ribero, nuovo viceparroco a San Giuseppe Artigiano

«Il carisma salesiano mi è entrato dentro sin dal giorno del battesimo». A dircelo è don Corrado Ribero, nato il 15 febbraio 1972 a Cuneo, nuovo viceparroco a San Giuseppe Artigiano nel quartiere “Cristo”. Siamo andati a trovarlo dopo che ha iniziato le attività nell’oratorio di corso Acqui. Ci accoglie e iniziamo la chiacchierata proprio accanto alla statua di don Bosco.

Don Corrado, ci racconti la tua storia?
«Sono un prete salesiano ordinato 15 anni fa nel tempio di Colle Don Bosco. Ma posso dire che questo Santo lo conosco dalla nascita, perché ho cominciato a frequentare l’oratorio già quando avevo 5 anni, età in cui ho anche iniziato la scuola materna dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. All’età di 21 ho maturato la vocazione: ho iniziato il percorso di noviziato, proseguendo con gli studi filosofici, il tirocinio a Novara, e poi sono stato ordinato».

Hai visto molte realtà prima di arrivare al “Cristo”…
«A Novara ero responsabile di un convitto per scuole medie e superiori, dal 2005 al 2008. Da lì sono andato a Torino dove ho gestito per un anno un collegio universitario. Dopodiché sono andato a Trino Vercellese, dal 2009 al 2015, come ruolo di viceparroco prendendomi cura dell’oratorio salesiano. Sono tornato a Novara per altri due anni presso un complesso scolastico formato da liceo scientifico e scuola media: qui insegnavo religione e facevo l’animatore di varie attività. Poi sono stato mandato all’oratorio San Luigi di Torino, il secondo oratorio fondato da don Bosco dopo Valdocco. Questa realtà comprende anche un collegio universitario, una parrocchia e una comunità minori di ragazzi senza genitori. Don Bosco lo ha pensato in una zona strategica, vicino alla stazione Porta Nuova, nel quartiere San Salvario».

Una zona non semplice di Torino…
«Il Santo salesiano aveva notato, già nel 1847, che quella era una parte della città piena di ragazzi “difficili”. Per questo anche noi il sabato sera, mentre i giovani si incontravano nella piazza di fronte alla nostra chiesa, aprivamo l’oratorio e mettevamo dei giochi a disposizione di tutti. Questi ragazzi, che passavano la serata tra birre e sigarette, erano provocati nel vedere una parrocchia aperta fino all’una del mattino. Poterlo ripetere qui ad Alessandria sarebbe davvero un sogno…».

Ecco, ma quali sono le caratteristiche dell’oratorio salesiano?
«Innanzitutto la presenza di una comunità di persone consacrate a servizio dei ragazzi. Non c’è un solo prete, ma don Bosco ci ha pensati come comunità e ci ha detto che “vivere e lavorare insieme è un’esigenza fondamentale ed è via sicura per diventare santi”. Ma il discorso vale anche per i laici, con la presenza di una comunità educativa pastorale, cioè una corresponsabilità di più persone a servizio dei giovani che frequentano quotidianamente l’oratorio. Noi non chiudiamo mai, dal lunedì alla domenica: questa è un’altra caratteristica fondamentale dell’oratorio salesiano. Poi ovviamente c’è il carisma di don Bosco: consacrare la propria vita ai ragazzi, aiutandoli a crescere per diventare cristiani adulti. Questo è fondamentale perché altrimenti non saremmo autentici prosecutori dell’opera che lui ha iniziato. E ci sono tante altre realtà che convivono… Non deve mai mancare il catechismo, che è legato alle attività della parrocchia. Don Bosco l’ha detto: “Io ho iniziato tutto con il catechismo”. L’oratorio è l’espressione giovanile della parrocchia, ma non dimentichiamoci che viene prima quest’ultima. Dopo il catechismo si prosegue il cammino di formazione cristiana attraverso vari gruppi che iniziano alle medie e vanno fino alle superiori: li coinvolgiamo nell’animazione dei più piccoli, che si esprime in modo più marcato durante l’estate dove i ragazzi hanno più tempo. Ma anche durante l’anno, accompagnando le catechiste o animando i momenti di festa. Per ultimo, in un oratorio salesiano non deve mai mancare la festa, intesa non come riempimento di tempi morti, ma come momento di condivisione gioiosa del tempo. Don Bosco diceva: “Vi voglio felici nel tempo e nell’eternità”. La festa deve anticipare la festa senza fine che faremo tutti dopo questa vita».

Come funziona l’oratorio quotidiano?
«Durante l’anno scolastico apriamo il nostro cortile alle 16.30, dal lunedì al venerdì, mentre nel weekend alle 15.30. A un certo punto fermiamo tutti i gruppi e ci incontriamo sotto la statua di don Bosco facendo un momento di preghiera, un momento di unità totale dell’oratorio, dove cerchiamo di dare alcune regole fondamentali sul vivere qui. Infine diamo un pensiero spirituale ed educativo, concludendo con la preghiera quotidiana. Ma abbiamo altre attività: penso ovviamente a quella sportiva, come il calcio, o alla bellissima palestra che dà spazio a tante attività: pallavolo, basket, danza, ginnastica artistica e posturale, pattinaggio».

Le “lusinghe” del mondo sui giovani sono molto forti. Voi cosa potete offrire in cambio?
«Abbiamo con noi molti ragazzi dai 15 anni in su che fanno gli animatori. Chiederò loro una formazione cristiana e salesiana forte, con la prospettiva di fare degli incontri settimanali che ho in cantiere. Se vogliono dedicare dei tempo ai più piccoli non è sufficiente che li facciano solo giocare, ma devono riempirsi il cuore di Dio, altrimenti portano solo se stessi e non il vero amore. Trovo che se si chiede ai giovani, loro rispondono. Se non chiediamo, loro si impigriscono. Questo nella logica del seminatore, sperando di poter trovare tanti terreni senza pretendere di vedere subito i frutti. Le lusinghe del mondo ci sono sempre state: certo, oggi con i nuovi mezzi di comunicazione ti arrivano letteralmente in mano. Ecco, serve insegnare loro a essere critici nei confronti di quello che vedono e leggono, per poter filtrare ciò che è bene e male, con il dialogo ma anche con la parolina all’orecchio, che spesso usava don Bosco… C’erano momenti in cui parlava a tutti, ma poi avvicinava il singolo ragazzo e con lui instaurava un colloquio personale. Occorre curare sia il gruppo sia il singolo: lo so, richiede impegno, costanza e fatica. Ma la chiave vincente per me è essere qui tutti i giorni. Faccio un esempio…».

Certo.
«Ieri sera mi sono allontanato dall’oratorio per visitare il quartiere. Ho incontrato dei ragazzi nel parchetto e mi sono messo a chiacchierare con loro. Si sono un po’ stupiti nel vedere il don che “esce”. Ma se ti fermi ad ascoltarli e li provochi con qualche frase, alla fine ti ringraziano. Perché è bello incontrare un adulto che li considera».

Forse manca questo?
«Probabilmente sì, ma questo dovrebbero farlo tutti. Non basta l’impegno soltanto di uno o di pochi. Serve l’aiuto di tutti: ciascuno nel suo ruolo, nelle sue competenze e nelle sue capacità. Credo che i ragazzi sappiano apprezzare quando una persona adulta si interessa a loro. Quei ragazzi del parchetto me lo hanno detto… I giovani che aveva don Bosco sono gli stessi che abbiamo noi adesso. Con alcuni ha avuto dei successi, con altri meno. Anche lui, a malincuore, ha dovuto riconoscere che con qualche giovane non ce l’ha fatta. E se i Santi ti portano la loro esperienza, non dobbiamo perderci d’animo (sorride)».

Qual è l’aspetto di don Bosco che l’ha convinta di più?
«Sicuramente il voler imitare alcuni sacerdoti salesiani che vivevano il loro essere preti tra i giovani. Però se non c’è l’innamoramento di Cristo nulla dura, questo è fondamentale… ti tiene vivo il cuore per tutta la vita! Il Signore si presenta a noi attraverso persone concrete, che ci fanno dire: “Quanto mi piacerebbe essere come lui”. E di queste persone anch’io ho avuto la fortuna di incontrarne parecchie».

L’innamoramento di Cristo, oltre che nel sacerdozio, vale anche nel matrimonio?
«Certo, perché tu nel coniuge ami Cristo. Se non vedi Cristo nell’altra persona non vai molto lontano. E ti innamori di Cristo, innamorandoti di tua moglie o di tuo marito».

Voi salesiani vi spostate spesso. Non vi pesa?
«No, perché Cristo lo trovi ovunque, è presente dentro di te, dunque in ogni posto in cui vai è presente. Non c’è un luogo fisico preciso o delle persone in particolare… Se lo hai dentro lo trovi ovunque. Ovviamente lo devi coltivare con l’Eucarestia, con la preghiera e con una vita spirituale intensa. Perché poi le lusinghe del mondo fanno breccia anche tra noi (sorride). Bisogna essere liberi di lasciare un ambiente ed abbracciarne un altro, sapendo che Chi conta è sempre al nostro fianco».

Alessandro Venticinque

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