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Due vocazioni, un solo carisma

Intervista a fra Cristoforo Maria
e fra Matteo Giovanni Maria

Da qualche settimana si chiamano fra Cristoforo Maria e fra Matteo Giovanni Maria. Sono i due giovani alessandrini che lo scorso 19 settembre hanno svolto il Rito della Vestizione, iniziando così il percorso di noviziato nell’Ordine Domenicano nella Basilica e convento di Santa Maria delle Grazie a Milano (nella foto di copertina). Nonostante il “silenzio” con l’esterno (uno dei punti centrali delle Costituzioni dell’Ordine) siamo riusciti a contattarli per farci spiegare meglio da dove nasce la loro vocazione. Prima, però, facciamoli presentare.

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Fra Cristoforo Maria

«Sono Stefano Grassi e ho 38 anni. Sono nato a Valenza, dove ho vissuto fino al 2018. Ho conseguito il baccalaureato e la licenza in Teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, e ho insegnato Religione cattolica per 11 anni: i primi due in una scuola statale, gli altri nove all’Angelo Custode di Alessandria».

Fra Matteo Giovanni Maria

«Io sono Matteo Belloni, ho 23 anni, e sono residente a Villa del Ferro nel comune di Val Liona, in provincia di Vicenza. Ad Alessandria ho conseguito la triennale in Scienze Biologiche all’Università del Piemonte Orientale».

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Matteo, Stefano, come è nata la vostra vocazione?
Matteo: «È nata in seguito a eventi che mi stavano interrogando, dai più semplici e familiari ai più “particolari”: poi ho capito che ciò che diventava un semplice ricordo rimaneva un segno profondo di qualcosa di più grande, ovvero di un Dio che tramite l’evento interpella, accende il desiderio di seguirlo e attende la libera risposta».

Stefano: «La mia vocazione ha origini “remote”, dall’età di 16 anni inizio a interrogarmi sulla chiamata al sacerdozio e alla vita religiosa. Ma ho dovuto attendere l’estate del 2017 per iniziare a intravedere e approfondire la Sua chiamata all’interno dell’Ordine dei Predicatori. L’evento “scatenante” credo sia stato la partecipazione a una Messa feriale nella chiesa di Nostra Signora di Loreto e Santa Rita ad Alessandria: non ero mai entrato in quel luogo prima d’allora, e sono rimasto colpito vedendo come il sacerdote celebrava. Un modo che non aveva nulla di eccezionale ma che nel suo raccoglimento, compostezza e devozione trasmetteva una profonda fede. Da qui è nato il mio desiderio di confessarmi, di tornare nei giorni successivi e di cercare in tale Ministro quella guida spirituale di cui necessitavo da tempo».

Perché l’Ordine Domenicano?
M: «Ho scelto l’Ordine Domenicano perché, nel periodo in cui stavo chiedendo al Signore “di che colore dovessi vestirmi”, ho partecipato casualmente, ma dovrei dire provvidenzialmente, a una Santa Messa nella chiesa di Nostra Signora di Loreto e Santa Rita. La sacralità era palpabile: uscii entusiasta e tornai sempre in quella chiesa che conobbi essere domenicana».

S: «Su suggerimento del mio Padre spirituale, ho aderito all’iniziativa di monsignor Gallese di dare vita a una comunità di discernimento nel centro di Alessandria. Grazie a questa esperienza di Chiesa mi si sono aperti, con sempre maggiore chiarezza, gli orizzonti di fede, preghiera e carità necessari per mettere a fuoco quella volontà divina. Così, a fine gennaio del 2019, ho deciso di partecipare agli incontri vocazionali organizzati dalla “Provincia San Domenico in Italia”, e a ottobre sono entrato ufficialmente nel prenoviziato che si trova a Bergamo».

Stefano, ci racconti come avete vissuto il vostro “ingresso” di sabato 19 settembre?
«Il Rito della Vestizione del 19 settembre è stato preceduto dai cinque giorni di Esercizi spirituali previsti dalle Costituzioni dell’Ordine, ed è servito a disporre l’animo di tutti noi a vivere nel modo migliore il grande evento che ci attendeva. La prostrazione iniziale, con la faccia a terra, le braccia a forma di croce e la spogliazione degli abiti secolari, ha significato la nostra richiesta di misericordia a Dio e ai frati. Così che, deponendo l’uomo vecchio, potessimo essere rivestiti di San Domenico e venire accolti con abiti e nomi nuovi all’interno dell’Ordine. Vorrei dire che per noi sono state fondamentali l’esempio e le parole di un grande santo piemontese, San Giuseppe Cafasso, il quale diceva che con la vestizione occorre prendere la deliberazione di farsi Santi, ricordarsi che ci si vende al Signore, e ricevere il nuovo abito come se lo si ricevesse dalle mani stesse del Signore».

Matteo, cosa farete durante questo anno prima dell’ingesso nella vita religiosa? Quanti novizi siete?
«A vivere questo percorso siamo nove novizi. Quest’anno canonico lo dovremo passare anelando, come la cerva ai corsi d’acqua, a Colui che è “Amore” (Gv 4,16), per imparare a vivere in comunità nella carità. Per questo è indispensabile lasciarsi rivestire dal Signore, e quindi ci sarà di aiuto seguire la perfetta osservanza regolare alle Costituzioni dell’Ordine, che constano, in ordine d’importanza, della vita comune, della liturgia comunitaria e della preghiera personale, dell’osservanza dei voti, dello studio e del ministero apostolico. Oltre ai servizi in Basilica, faremo catechismo in parrocchia e in un’unità pastorale. Per vivere i suddetti elementi costitutivi della nostra vita è di aiuto osservare le pratiche ausiliari: clausura, silenzio, abito e opere di penitenza».

La carenza di vocazioni è un tema molto attuale. Per alcuni il problema è legato alla mancanza di figure carismatiche in grado di favorire nuovi religiosi. Nel vostro caso qualcuno vi ha guidato in questa decisione?
M: «Ho avuto come guida preziosa il mio confessore e direttore spirituale. Essendo poi i carismi, come è il “linguaggio di sapienza” (1Cor 12,4) di cui credo che la mia vocazione abbia assai beneficiato, doni dello Spirito Santo per l’edificazione della Chiesa, mi pare corretta l’idea che siano utili per far crescere le vocazioni, sebbene l’origine di una vocazione risieda anzitutto nell’offrire preghiere al Signore affinché mandi operai per la sua messe (Lc 10,2)».

S: «Più che di assenza di figure carismatiche, preferirei parlare della necessità di riscoprire nella Chiesa il rilievo ordinario di una fede che si respira a pieni polmoni nei Sacramenti, nella Parola di Dio, nella sacra predicazione e nelle svariate forme di carità che vengono praticate. La presenza di Dio è quello che i cristiani e gli uomini di oggi faticano a vivere: non occorrono grandi invenzioni e intuizioni teologiche per praticare la ricerca di Dio, basta il desiderio di stare sempre davanti a Lui e con Lui. Sono convinto che nel momento in cui i pastori e i fedeli riuscissero a rimettere al centro la Verità trasmessaci dalla tradizione della Chiesa del Suo essere con noi, così come avviene nello Spirito Santo consegnatoci dal Padre per mezzo di Gesù Cristo, il problema delle vocazioni troverebbe molte risposte e risoluzioni, mostrando la bellezza e grandezza della chiamata alla santità che il Vangelo ci ha portato».

Un consiglio a un giovane che è indeciso sulla propria vocazione alla vita consacrata?
M: «Rispondete con un atto di fede a questa chiamata, ancora presunta, dando la disponibilità a Dio dicendogli, a imitazione della Beata Vergine Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Sono poi convinto che pregare ogni giorno il Santo Rosario permetta alla Madre che Cristo dalla croce ci ha lasciato di essere anzitutto Lei la guida ai nostri passi».
S: «Non ho consigli particolari da dare, se non quello di vivere quotidianamente la preghiera personale ed ecclesiale, prediligendo la frequentazione assidua dei Sacramenti, in particolare l’Eucarestia e la Confessione. Nonché quella sana dottrina e vita morale che un buon direttore spirituale saprà sempre indicare, per compiere quelle scelte che il Signore stesso richiederà per vivere il compimento della carità che Lui stesso dona e alla quale abilita».

Alessandro Venticinque

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