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Dobbiamo imparare a litigare?

Educare i nostri figli

«Non è peccato litigare. Peccato è il rancore, il risentimento che ti lascia dentro il cuore l’aver litigato, ma litigare è dire le cose come uno le pensa, respirare l’aria della libertà come fratelli. Non abbiate paura. Senza offendere, ma dire le cose come sono». Queste le parole di papa Francesco in un’udienza avuta con gli Stimmatini. Ma per “litigare bene” servono competenze, non basta alzare la voce. Perché è così importante insegnare ai bambini a gestire i conflitti fin da piccoli? Lo abbiamo chiesto a Emanuela Cusimano (nella foto qui sotto), pedagogista del Cpp (per chi volesse approfondire, http://www.cpp.it).

Emanuela, ci spieghi cosa rappresenta il litigio per i bambini?

«Il litigio per il bambino è un’esperienza fondamentale di vita, di relazione e incontro con l’altro. Non possiamo pensare che dei bambini piccoli che si incontrano non andranno incontro a uno o più momenti di litigio. L’armonia che dura tutto un pomeriggio è bella, ma non è reale per un bambino che sta crescendo».

Facciamo un esempio pratico?

«Per imparare a giocare con i suoi coetanei, un bambino si litiga con loro gli oggetti a disposizione. La contesa sul singolo giocattolo avviene perché è interessato alla compagnia degli altri, ma non ha le competenze per giocare direttamente con loro, quindi utilizza gli oggetti che ha intorno per relazionarsi. Il primo elemento di incontro è quindi la contesa di una “cosa”, ma questo sottintende l’interesse e la curiosità verso l’altro. Anche quando i bimbi sono pronti per giocare con gli altri il confronto è inevitabile perché ognuno vorrebbe condurre il gioco a modo suo: bisogna trovare una mediazione, ma devono imparare a sviluppare questa competenza senza il costante intervento di un adulto».

Perché imparare a litigare da piccoli serve tutta la vita?

«Innanzitutto, attiva le capacità di autoregolazione (saper trovare un accordo comune partendo da interessi individuali) e quelle di decentramento: il bambino esce dal proprio egocentrismo, impara a vedere un altro punto di vista. In secondo luogo, permette di sviluppare la capacità creativo – divergente attraverso la rinuncia attiva, ovvero quando uno dei due contendenti “cede” alle richieste dell’altro. L’adulto sovente etichetta questo comportamento come “perdente”, ma vi invito a riflettere: se il mio obiettivo è giocare con l’altro bambino e divertirmi, posso anche imparare a cambiare idea rispetto al mio punto di partenza per raggiungere comunque il mio scopo? Ricordiamoci anche che litigare da piccoli è più facile, perché i bambini non hanno la dimensione del rancore, che si sviluppa verso i 10 anni. Ma se ci si abitua sin da piccoli a gestire le relazioni in questo modo più costruttivo, si riesce anche a non portare rancore».

E quindi noi adulti come possiamo imparare a guardare ai litigi dei bambini in maniera corretta e non melodrammatica?

«Provando a pensare alla nostra infanzia nei cortili. Quando avevamo l’occasione di stare con gli altri bambini, passavamo tempo a litigare per decidere le regole di qualsiasi gioco. Capiremo così che il litigio è un elemento naturale della crescita del bambino: quando ce la cavavamo da soli, nessuno se ne accorgeva. E se un adulto si avvicinava a monitorare la situazione, la risposta era sempre “Tutto bene”, per difendere il gruppo. Adesso che i cortili stanno scomparendo, i bambini sono sempre meno e vengono guardati a vista: l’adulto in caso di litigio si sente ingaggiato a riportare la giustizia, quando vediamo un piccolo che porta via la macchinina ad un altro, interveniamo per sistemare a modo nostro la situazione. Dobbiamo quindi fare un passo indietro: cerchiamo di non vedere il momento del litigio come disturbante, inutile ed evitabile, togliamogli quel velo di negatività da cui è sempre coperto. Sforziamoci poi di non dire frasi come “andate tutti d’accordo, non litigate”. Sentendo queste parole, i bambini impareranno ad evitare litigi e conflitti e quindi a non gestire in maniera adeguata le relazioni da adulti».

Bimbi che bisticciano: come comportarsi

La pedagogista del Cpp Emanuela Cusimano ci spiega: «Cambiando lo sguardo, come spiegavamo prima: l’adulto, seguendo una logica montessoriana, ha una posizione di regia e dovrebbe fare questi quattro passi».

I 2 passi indietro

Non cercare il colpevole;

Non imporre la soluzione (ricordiamoci che non siamo né arbitri né giudici).

I 2 passi avanti

Occorre farli parlare tra di loro: fare in modo che si forniscano la versione reciproca dell’accaduto;

E poi serve favorire l’accordo reciproco, che non deve essere mai giudicato dall’adulto. Ricordiamoci che i bambini hanno il pensiero magico: se per esempio uno rompe la gomma all’altro, la soluzione per loro potrebbe essere “attacchiamola con lo scotch” e non ricomprarla, come verrebbe istintivo pensare per un “grande”.

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