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Veglia Pasquale: tra storia e tradizione

Alle origini della fede

La Veglia Pasquale: un tema certamente “attuale” per l’essere inseriti nel vivo della Settimana Santa, ma anche un ambito interessante da analizzare per come, nella storia della Chiesa, si sia giunti alla sua corrente definizione e impostazione liturgica. Una premessa, peraltro, è d’obbligo: questa veglia (non una “vigilia”) è la “Veglia delle veglie”, perché è il momento culminante di tutto l’anno liturgico e ad essa converge l’intero Triduo pasquale e – per dirla con sant’Agostino (Sermo 219) – essa è la “Madre di tutte le veglie” cristiane.

“Veglia Pasquale”, dunque, quale binomio inscindibile in cui i due termini meritano di essere assolutamente ben delineati. Come ci ricorda anche Raniero Cantalamessa, ci fu infatti un’epoca nella vita della Chiesa in cui “la Pasqua era, per così dire, tutto […]. Essa commemorava – senza spartirla con nessun’altra festa – l’intera storia della salvezza dalla creazione alla parusia”. Se questo riguarda il riferimento al “termine” Pasqua”, ugualmente suggestivo è provare a ragionare sul termine “Veglia” ripercorrendo brevemente come, nel corso della storia bimillenaria della Chiesa, si sia affermata la sua “declinazione” e con quali “modalità” abbiamo oggi, anche in tempi pandemici, la possibilità di vivere questo momento centrale della nostra vita di fede. Sostanzialmente si possono distinguere tre periodi.

Il primo è quello che va dal II al IV secolo d.C.: un periodo in cui la (grande) Veglia Pasquale si celebrava estendendosi per tutta la notte tra il sabato santo e la domenica e quest’ultima era senza una propria specificità liturgica: sia perché tutto era solennemente concentrato nella celebrazione notturna, sia perché, in una situazione di ancora scarsa libertà di culto, in quei secoli la domenica era un giorno “lavorativo”.

Successivamente, in un periodo che si estende fino al XVI secolo (con “code” tuttavia fino al secolo scorso), la Veglia Pasquale è stata sempre più “anticipata” al pomeriggio del Sabato Santo – si veda quanto indicato nella riforma del Breviario Romano (1568) e in quella del Messale (1570) per opera del papa alessandrino san Pio V – sebbene la prassi effettiva (perdurante fino al Codice di Diritto Canonico del 1917) progressivamente divenne quella di celebrare la Veglia al mattino del Sabato santo, ma con sempre minore partecipazione dei fedeli e in chiese quasi deserte.

Il terzo periodo, nel quale ci troviamo ancora oggi, è caratterizzato da una grande riforma ad opera di papa Pio XII sia per quanto riguarda la “Veglia Pasquale” (Decreto “Dominicae Resurrectionis vigiliam” del 1951) che la “Settimana Santa” (Decreto “Maxima redemptionis nostrae mysteria” del 1955): scelte che verranno di fatto confermate dal Concilio Vaticano II e validate fino ai nostri giorni.

Cosa ha dunque precisato la Chiesa a partire da Pio XII su questo tema? Che la Veglia Pasquale ritorni al suo tempo “conveniente” con indicazioni precise che ne garantiscono la coerenza celebrativa. Si consideri in tal senso anche l’Istruzione “Paschalis Solemnitatis” del 1988 in cui si insiste su una Veglia che sia veramente “notturna” e si afferma che “l’intera celebrazione della Veglia Pasquale si svolge di notte; essa quindi deve o cominciare dopo l’inizio della notte o terminare prima dell’alba della domenica”. In questo modo trovano senso pieno le parole dell’Exultet pasquale quando si canta: “O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi”.

Guido Astori

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