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Guardare alla musica con gli occhi di un violinista

La Voce delle note: Giacomo Lucato ci guida alla scoperta di Ruggero Leoncavallo, autore dell’opera “Pagliacci”

In questo periodo della storia dell’umanità segnato da questa pandemia che sembra non finire mai, tendere l’orecchio alla musica è una di quelle cose che può aiutarci a pensare le giornate con un ritmo diverso. Per essere accompagnati alla scoperta della musica classica con occhi nuovi, vi proponiamo i testi, i suggerimenti d’ascolto ma anche i disegni di un giovane violinista. Conosciamolo meglio.

Chi è Giacomo Lucato

Sono Giacomo Lucato (in foto qui sotto), di Alessandria, e ho 22 anni. Sono diplomato in violino e frequento il biennio in viola al Conservatorio di Milano. Vivo la musica come un servizio, le mie note hanno un’unica direzione: restituire a chi ascolta un po’ dell’immensa bellezza che quest’arte dà a me quotidianamente.

Condividere il palco in orchestra e in formazioni da camera, rende viva e autentica la mia scelta. E allora perché non descrivere proprio ciò che provo rispetto alla musica che suono ogni giorno? Con la parola è arrivata l’immagine. Così ho provato a tratteggiare i volti di coloro che hanno firmato quelle note, trasformando in disegno il gesto iniziale di ogni mia giornata, l’arco che mette in vibrazione la corda dello strumento e rende suono il mio più intimo sentire. Mi potete trovare e seguire su Instagram, TikTok, LinkedIn e Facebook.

Alla scoperta di Ruggero Leoncavallo

Ruggero Leoncavallo, il compositore dello struggimento del Pagliaccio Napoli. 23 aprile 1857. Otto mesi prima del potente terremoto della Basilicata, nasce Ruggero Leoncavallo, musicista passato alla storia grazie alla sua opera “Pagliacci”. Due grandi baffoni folti e appuntiti, come antenne pronte a cogliere la realtà nella sua totale schiettezza, nascondono il suo viso accogliente ma sincero. Lo sguardo è malinconico e lascia trasparire un’ingenua umanità, priva di malizie e finzioni. Leoncavallo viaggia molto, è un uomo in cerca di risposte.

Conosce i rumori della carrozza in movimento, è abituato alle urla del cocchiere. Sente lo sforzo sbuffante della locomotiva e l’odore del carbone bruciato dei treni che portano oltre confine. Sa cosa significa guadagnarsi da vivere con la musica, in Italia e all’estero. Prova sulla propria pelle la fatica di racimolare qualche soldo per star al passo di una società industriale nel pieno della sua tumultuosa espansione, che non ha tempo da perdere. “Pagliacci”, il laccio che unisce l’opera e la gente. In Francia dilaga il naturalismo di Zola, mentre le novelle veriste di Verga scuotono il mondo della cultura italiana. E come può l’opera raccontare ancora di miti e leggende?

La quotidianità diventa il centro della scena, il teatro è ogni giorno. Leoncavallo lancia una fune all’altra sponda, un collegamento con il popolo. I due mondi non possono più stare distanti. Questo è “Pagliacci”, il laccio che unisce definitivamente il palco e la platea, l’opera e la gente. Risuona la grancassa del capocomico, inizia lo spettacolo. Non c’è passione che possa essere contenuta, la vicenda è preda di pulsioni interiori sfrenate e selvagge. La gelosia d’amore regna sovrana e divora ferocemente Canio, il Pagliaccio protagonista. Gli è stato spifferato che sua moglie ha intenzione di fuggire con uno spettatore, contadino del paese dove la compagnia è giunta per rappresentare il numero. Canio ha solo voglia di sfoderare il coltello e punire i due innamorati, ma lui è Pagliaccio e ora deve solo entrare in scena e far ridere. Questo è il suo ruolo. I ritmi della società sembrano non essere governati da leggi umane. Non c’è tempo per star dietro ad un cuore in pezzi, non importa a nessuno. È ora di recitare.

Esplode il suo canto disperato: “Ridi Pagliaccio / Sul tuo amore infranto / Ridi del duol /Che t’avvelena il cor!”. La melodia era già stata annunciata dai corni all’aprirsi del sipario, quasi in too. Ora la voce è sostenuta dal suono appassionato dell’orchestra. Le emozioni si frantumano e si disperdono, l’aria del teatro si riempie di tragica concitazione. L’incontenibile umanità di Canio è ormai corrotta e il suo fragile animo diventerà vittima di una cieca follia, macchiandolo per sempre di duplice colpevolezza.

Tre consigli per conoscere Leoncavallo

Opera completa, diretta da Herbert con Karajan. Registrazione.
(Live del 1968 presso il Teatro alla Scala di Milano. youtu.be/kaBnYOF384M).

L’aria “Vesti la giubba”, in conclusione del primo atto, quando Canio (Pagliaccio) scopre l’infedeltà della moglie, ma deve comunque prepararsi per la performance perché “lo spettacolo deve continuare…”
(Live – tenore, Luciano Pavarotti. youtu.be/ZzUJ8Hf0hm4).

L’aria “No, pagliaccio non son”, verso la fine del secondo atto. Canio è sul palco e interpreta il suo personaggio nella commedia, ma non riesce più a fingere. Sveste i panni di Pagliaccio e accusa la moglie Nedda di ingratitudine e la informa che il suo amore si è trasformato in odio.
(Live, Tokyo 1961 – tenore, Mario del Monaco; soprano, Gabriella Tucci. youtu.be/M7i1c_B4c_M).

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