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Vite, opere di san Pier Damiani

“La recensione” di Fabrizio Casazza

La casa editrice Città Nuova prosegue la meritoria opera di pubblicazione delle opere complete di san Pier Damiani. Nei mesi scorsi sono uscite le Vite (pp 642, euro 75, con originale latino a fronte), ove l’autore raccoglie, a scopo di edificazione, episodi della biografia di san Romualdo e altri monaci.

Nato a Ravenna nel 1007, studiò e insegnò in rinomate università della penisola prima di ritirarsi nel monastero camaldolese di Fonte Avellana (attualmente in diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola). Papa Stefano IX, apprezzandone la preparazione dottrinale, l’integrità morale e la solida devozione lo nominò vescovo di Ostia e cardinale. Alternò periodi nella pace del chiostro a missioni per conto dei Pontefici via via succedutisi. Morì nel 1072 a Faenza, nella cui basilica cattedrale è sepolto. Nel 1828 Leone XII lo proclamò Dottore della Chiesa.

Benedetto XVI nel 2007 autorevolmente commentò: «San Pier Damiani fu anzitutto un eremita, anzi l’ultimo teorizzatore della vita eremitica nella Chiesa latina, nel momento stesso in cui si consumava lo scisma tra Oriente e Occidente. Nell’interessante sua opera intitolata Vita Beati Romualdi (inserita nel volume che stiamo presentando, ndr), egli ci ha lasciato uno dei frutti più significativi dell’esperienza monastica della Chiesa indivisa.

Per lui la vita eremitica costituisce un forte richiamo per tutti i cristiani al primato di Cristo e alla sua signoria. È un invito a scoprire l’amore che Cristo, a partire dal suo rapporto con il Padre, ha per la Chiesa; amore che a sua volta l’eremita deve nutrire con, per e in Cristo, nei confronti dell’intero Popolo di Dio. Questo grande Santo eremita fu anche eminente uomo di Chiesa, che si rese disponibile a muoversi dall’eremo per recarsi dovunque si rendesse necessaria la sua presenza per mediare fra contendenti, fossero essi ecclesiastici, monaci o semplici fedeli. Pur radicalmente concentrato sull’unum necessarium, non si sottraeva alle esigenze pratiche che l’amore per la Chiesa gli imponeva.

Era spinto dal desiderio che la comunità ecclesiale si mostrasse sempre come sposa santa e immacolata, pronta per il suo celeste Sposo, ed esprimeva con vivace ars oratoria il suo zelo sincero e disinteressato per la santità della Chiesa. In un’epoca segnata da particolarismi e incertezze, perché orfana di principi unificanti, Pier Damiani, consapevole dei propri limiti – amava definirsi peccator monachus – trasmise ai suoi contemporanei la consapevolezza che solo attraverso una costante tensione armonica tra due poli fondamentali della vita – la solitudine e la comunione – può svilupparsi un’efficace testimonianza cristiana. Non è forse valido anche per il nostro tempo questo insegnamento?».

La domanda di Benedetto XVI trova nella lettura delle Vite la migliore risposta.

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