Domenica 12, Budapest (Ungheria)
Non c’è solo l’Ungheria, ma tutta la Chiesa universale intorno al successore di Pietro, nella piazza degli Eroi di Budapest. Come era avvenuto il 27 marzo scorso in piazza San Pietro, quando Francesco ha pregato da solo in una piazza San Pietro sferzata dalla pioggia per invocare la fine della pandemia. Il Papa ha infatti presieduto la messa conclusiva del 52° Congresso eucaristico (secondo Papa nella storia, dopo il delegato pontificio Eugenio Pacelli nel 1938) nella forma della “statio orbis”, cioè come sosta di adorazione e di preghiera per un impegno corale di tutto il popolo di Dio di fronte al mistero eucaristico, salvezza per il mondo. È il momento culminante delle sette ore passate da Papa Francesco a Budapest, prima tappa del suo 34° viaggio apostolico che al termine della Messa lo ha portato in Slovacchia.
In mattinata, l’incontro con i vescovi, svoltosi a porte chiuse, e poi con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e di alcune comunità ebraiche ungheresi, primo momento pubblico del viaggio, durante il quale il Santo Padre ha lanciato un forte monito: «L’antisemitismo ancora serpeggia in Europa» ed è «una miccia che va spenta». «Pregare insieme, gli uni per gli altri, e darci da fare insieme nella carità, gli uni con gli altri, per questo mondo che Dio tanto ama: ecco la via più concreta verso la piena unità», l’esordio dell’incontro con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e delle comunità ebraiche. Francesco invoca poi l’immagine del Ponte delle Catene, che collega le due parti della città: «Non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra di noi. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto!». L’appello: «Dobbiamo vigilare e pregare perché non accada più. E impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti di odio che vogliono distruggerla non prevalgano».
Lunedì 13, Bratislava (Slovacchia)
«Una Chiesa che forma alla libertà interiore e responsabile, che sa essere creativa immergendosi nella storia e nella cultura, è anche una Chiesa che sa dialogare con il mondo, con chi confessa Cristo senza essere dei nostri, con chi vive la fatica di una ricerca religiosa, anche con chi non crede. Non è selettiva, di un gruppetto: il dialogo è con tutti, credenti e non credenti». Ne è convinto il Papa, che al termine del suo discorso ai vescovi, dalla cattedrale di San Martino Bratislava, ha auspicato «una Chiesa che, sull’esempio di Cirillo e Metodio, unisce e tiene insieme l’Oriente e l’Occidente, tradizioni e sensibilità diverse. Una comunità che, annunciando il Vangelo dell’amore, fa germogliare la comunione, l’amicizia e il dialogo tra i credenti, tra le diverse confessioni cristiane e tra i popoli».
«L’unità, la comunione e il dialogo sono sempre fragili, specialmente quando alle spalle c’è una storia di dolore che ha lasciato delle cicatrici», il riferimento alla storia slovacca: «Il ricordo delle ferite può far scivolare nel risentimento, nella sfiducia, perfino nel disprezzo, invogliando a innalzare steccati davanti a chi è diverso da noi. Le ferite, però, possono essere varchi, aperture che, imitando le piaghe del Signore, fanno passare la misericordia di Dio, la sua grazia che cambia la vita e ci trasforma in operatori di pace e di riconciliazione». Poi la citazione di «un bel proverbio» slovacco: «A chi ti tira un sasso, tu dona un pane». “«È molto evangelico questo!», il commento di Francesco: «È l’invito di Gesù a spezzare il circolo vizioso e distruttivo della violenza, porgendo l’altra guancia a chi ci percuote, per vincere il male con il bene». Il Papa ha concluso il suo discordo menzionando un particolare della storia del cardinale Korec: «Era un cardinale gesuita, perseguitato dal regime, imprigionato, costretto a lavorare duramente finché si ammalò. Quando venne a Roma per il Giubileo del 2000, andò nelle catacombe e accese un lumino per i suoi persecutori, invocando per loro misericordia. Questo è Vangelo! Cresce nella vita e nella storia attraverso l’amore umile e paziente».
Martedì 14, Presov (Slovacchia)
Un omaggio ai martiri, «che hanno testimoniato in questa nazione l’amore di Cristo in tempi molto difficili, quando tutto consigliava di tacere, di mettersi al riparo, di non professare la fede. Ma non potevano non testimoniare». A tributarlo è stato il Papa, nell’omelia della Divina Liturgia presieduta a Presov, nel terzo giorno del suo pellegrinaggio. «Quante persone generose hanno patito e sono morte qui in Slovacchia a causa del nome di Gesù!», ha esclamato Francesco, che si è riferito anche «ai nostri tempi, in cui non mancano occasioni per testimoniare». «Qui, grazie a Dio, non c’è chi perseguita i cristiani come in troppe altre parti del mondo», il parallelo con l’oggi: «Ma la testimonianza può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità. La croce esige invece una testimonianza limpida. Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere. Quale? Quello del Vangelo, quello delle Beatitudini».
«Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita», la tesi del Papa: «Il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre se stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso. Il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile. Non attende trionfi quaggiù, perché sa che l’amore di Cristo è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto».
Mercoledì 15, Sastin (Slovacchia)
«Non si può ridurre la fede a zucchero che addolcisce la vita». Ne è convinto il Papa, che nell’omelia della Santa Messa nel santuario di Sastin, dove è venerata la Madonna dei Sette Dolori, patrona della Slovacchia di cui mercoledì 15 si celebra la festa nazionale. Francesco si è soffermato sulla missione «profetica» di Maria, rivelatrice del messaggio di suo Figlio. «Davanti a Gesù non si può restare tiepidi, con il piede in due scarpe», il monito di Francesco: «Accoglierlo significa accettare che Egli sveli le mie contraddizioni, i miei idoli, le suggestioni del male; e che diventi per me risurrezione, Colui che sempre mi rialza, che mi prende per mano e mi fa ricominciare».
Dice il Papa: «Non si tratta di essere ostili al mondo, ma di essere segni di contraddizione nel mondo. Cristiani che sanno mostrare, con la vita, la bellezza del Vangelo. Che sono tessitori di dialogo laddove le posizioni si irrigidiscono; che fanno risplendere la vita fraterna, laddove spesso nella società ci si divide e si è ostili; che diffondono il buon profumo dell’accoglienza e della solidarietà, laddove prevalgono spesso gli egoismi personali e collettivi; che proteggono e custodiscono la vita dove regnano logiche di morte». E sulla fede: «La fede di Maria è una fede che si mette in cammino. Alla comodità delle abitudini preferisce le incognite del viaggio, alla stabilità della casa la fatica della strada, alla sicurezza di una religiosità tranquilla il rischio di una fede che si mette in gioco, facendosi dono d’amore per l’altro», ha spiegato Francesco. «Anche il Vangelo di oggi ci fa vedere Maria in cammino: verso Gerusalemme dove, insieme a Giuseppe suo sposo, presenta Gesù nel Tempio. E tutta la sua vita sarà un cammino dietro al suo Figlio, come prima discepola, fino al Calvario, ai piedi della Croce. Sempre Maria cammina. E, camminando, voi vincete la tentazione di una fede statica, che si accontenta di qualche rito o vecchia tradizione, e invece uscite da voi stessi, portate nello zaino le gioie e i dolori, e fate della vita un pellegrinaggio d’amore verso Dio e i fratelli. Grazie per questa testimonianza! E per favore, restate in cammino!». Il viaggio del Pontefice termina qui: l’aereo Alitalia, con a bordo papa Francesco e il suo seguito, è decollato dall’aeroporto di Bratislava alle 13.48, nel pomeriggio il suo rientro a Roma.