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Essere qui: Chiesa e società nell’anno della pandemia

Intervista a Renato Balduzzi

Si chiama “Essere qui” l’associazione culturale costituita alla fine del 2020, durante la pandemia, da personalità conosciute e stimate in Italia e all’estero: stiamo parlando di Giuseppe De Rita (che ne è il presidente), Liliana Cavani (vicepresidente), Gennaro Acquaviva, Renato Balduzzi, Carlo Borgomeo, Annamaria Del Prete, Ferruccio De Bortoli, Amalia MaioneMario Marazziti, Mario Morcone, Alessandro Pajno, Romano Prodi, Massimo Naro, Andrea Riccardi.

Ognuno di loro ha storie ed esperienze pluriennali, declinate in diversi “mondi”: culturale, sociale, politico ed ecclesiale. E ognuno di loro, con idee e sensibilità complementari, ha deciso di mettersi a servizio per «contribuire al rafforzamento della coscienza sociale, alla diffusione di una cultura della promozione umana e ad una vitale partecipazione del mondo cattolico alla crescita sociale», come si legge sulla home page del sito Internet di “Essere qui” (www.associazioneeq.it). Il professor Renato Balduzzi (in foto quo sotto), ordinario di Diritto costituzionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e socio fondatore dell’associazione, ci spiega che cosa significa per lui “essere qui”, in questo momento storico.

Professor Balduzzi, come nasce “Essere qui”?

«Nasce nel 2020 sulla base di una duplice riflessione. La prima riflessione è che di fronte a una tragedia universale come la pandemia il gruppo più titolato ad aiutare tutti nel dare una risposta dovrebbe essere la Chiesa cattolica, universale nel senso originario di “katà ólon”, secondo il tutto. Una realtà, dunque, capace per sua natura di mettere insieme le ragioni della dimensione orizzontale con quelle della dimensione verticale, nell’unità teandrica, di uomo-Dio, del Cristo».

La seconda riflessione?

«È un’ipotesi di lavoro: che la Chiesa cattolica, nonostante la sua dimensione universale, non abbia avvertito l’esigenza di farsi ascoltare e dire qualcosa nell’interesse di tutti. A parte papa Francesco, straordinario in diverse occasioni, e alcune iniziative di singole chiese locali. Noi di “Essere qui” abbiamo voluto verificarla, questa ipotesi, e dalla nostra indagine è scaturito un libro, “Il gregge smarrito. Chiesa e società nell’anno della pandemia” (Rubbettino editore, 2021), in cui elaboriamo i dati di un sondaggio su un campione rappresentativo di italiani e alcune riflessioni che “leggono” questi numeri. Numeri che hanno confermato la nostra impressione iniziale».

Ce la può sintetizzare?

«C’è stata, e c’è ancora, un’afasia all’interno della Chiesa. Una difficoltà di parola, che la pandemia ha messo drammaticamente in evidenza».

E dunque?

«Noi siamo convinti che il pensiero cattolico sociale possa ancora esprimersi per una utilità comune. C’è una ricchezza di sensibilità che non deve andare dispersa, a partire dalla ricerca sociale condotta da Giuseppe De Rita e dai suoi del Censis: un patrimonio che ha sempre avuto il senso di una proposta per tutti, a partire da una consapevolezza di fede. C’è una grande vitalità, anzi, tante vitalità che non riescono ancora a trasformarsi in una proposta, in una sfida. I cattolici sembrano stare sulla difensiva, ma questo non basta: occorre proporre, interrogare e intrigare i contemporanei, soprattutto nella nostra epoca in cui prevale “l’individualismo dello smartphone”. Ecco, il nostro è un piccolo tentativo per rimettere la proposta cristiana in onda con l’attualità».

Perché questa “afasia” nella Chiesa, secondo lei?

«Credo che arrivi da lontano. In passato, il collegamento tra idealità, proposta cristiana e ruolo pubblico è stato svolto per decenni dalla Democrazia Cristiana che, nelle sue varie articolazioni, anche a volte conflittuali, era lo snodo attraverso cui la presenza di tantissime realtà cattoliche trovava il suo sfondo e il suo sbocco. Venuto meno questo riferimento, c’è stato il tentativo di aggregare i cattolici intorno a un conglomerato di principi e di valori non negoziabili: una proposta, va ricordato, appoggiata e condivisa anche dall’episcopato. Si trattò, guardandola oggi, di una scelta non del tutto lungimirante, basata su un arroccamento, su una difesa a oltranza, non su una proposta coraggiosa e aperta a tutti. Oggi invece lo slancio rinnovato che Francesco ha impresso alla Chiesa universale è caratterizzato dall’espressione “Chiesa in uscita”, che vuol dire anche “in uscita da se stessa”, prendendo atto che è finita una stagione: quella per cui essere italiani e cattolici era in qualche modo una sovrapposizione, con una vita civile in qualche modo scandita dai tempi e dai ritmi della vita religiosa. Ora non è più così, si è aperta una fase nuova».

Ora viviamo tempi secolarizzati.

«La secolarizzazione in sé ha aspetti anche positivi, ma diventa negativa se si trasforma in secolarismo. E allora chiediamoci: come fanno i cristiani ad aiutare gli altri uomini amati dal Signore ad uscire dalla banalizzazione, da una vita arroccata su se stessi? Questa è la grande questione, a cui certamente noi non pretendiamo di rispondere da soli… ma vorremmo aiutare tutti a porsi almeno la domanda!».

Tra coloro che secondo lei dovrebbero «porsi almeno la domanda», mi sembra ci sia un chiaro riferimento alle gerarchie ecclesiastiche.

«È così. La nostra è un’interlocuzione, rispettosa e garbata, che ha come destinatari anche i nostri vescovi. Sarebbe utile che le chiese locali si ponessero il problema, per andare a vedere come la loro realtà ha vissuto questo spartiacque della pandemia, e come essa viene percepita dalla società. Per rimettere in connessione la propria pastorale con le esigenze, così cambiate, dell’oggi. Noi di “Essere qui” siamo a disposizione proprio per questo».

Andrea Antonuccio

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