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La vita delle famiglie in pandemia

La pediatra Sabrina Camilli

Un aumento di accessi al Pronto soccorso e di ricoveri di ragazzi e ragazze in stato di sofferenza psicologica acuta, episodi di “attacco al corpo”, giovani affetti da una sorta di “obesità informazionale” che si manifesta con disattenzione, distacco, paura, fuga. Le conseguenze del clima di perenne stress latente che questi due anni di pandemia hanno portato con sé non sono da sottovalutare. Proseguiamo il discorso con la nostra pediatra di fiducia, la dottoressa Sabrina Camilli, sugli effetti “ad ampio spettro” che la Covid-19 ha portato nella vita delle nostre famiglie.

Dottoressa, ci sono dei dati che dovrebbero farci riflettere, per avere idea delle dimensioni del fenomeno?

«Il rapporto dell’Unicef sulla condizione dell’infanzia del mondo sottolinea in maniera molto chiara quali siano stati gli effetti della pandemia sui giovani. Basta leggere i numeri che ci dicono come più di un ragazzo su 7, tra i 10 e i 19 anni, conviva con un disturbo mentale diagnosticato. In cifre, 89 milioni i maschi e 77 milioni le femmine. Una situazione peggiorata di gran lunga negli ultimi due anni dove il rapporto è cambiato, in negativo: oggi infatti parliamo di depressione per un giovane su 5 tra i 15 e i 24 anni. Non solo, sempre l’Unicef ci dice che in Europa occidentale i casi di autolesionismo si sono impennati e il suicidio, dopo gli incidenti stradali, è stata la seconda causa di morte tra gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni, con 4 casi su 100 mila. Non è un segreto poi che durante la pandemia i disturbi alimentari siano aumentati del 30% e siano cresciuti negli ospedali i ricoveri per atti di autolesionismo fra i minori: gesti per colpire il proprio corpo che nell’adolescenza, come si sa, ha un ruolo centrale. Uno studio effettuato dalla Neuropsichiatria del Regina Margherita di Torino riporta che su 800 ragazzi frequentanti la scuola media circa il 30% presentava sintomi da stress post-traumatico e le peggiorate condizioni economiche di molte famiglie non hanno sicuramente permesso di contenere o ridurne le conseguenze. Io penso che tutto questo ci debba portare a un’importante riflessione ma anzitutto a rispondere a livello personale, familiare e soprattutto sociale a questa grande richiesta di aiuto, apparentemente silenziosa».

E i genitori, come li ha trovati nei colloqui che ha con loro?

«Li vedo soprattutto stanchi e preoccupati, confusi. Cito a questo proposito le parole di una mamma su un social network. Scrive: “Credo che la scuola, i bambini e le famiglie siano schiacciati da un peso ormai insostenibile. Per esempio, L. al primo anno di primaria si trova la classe in Dad: i genitori devono lavorare e lo lasciano alla nonna, che non sa usare il pc. Durante la lezione si scusa con le maestre, non sa chiudere il microfono e nemmeno scaricare le schede. L. è contento di vedere compagni e maestre ma gli viene da piangere perché non sta capendo niente. Ci sono i genitori di G, in crisi perché il loro figlio dopo due anni di pandemia non vuole più uscire di casa: ha paura, un terrore che lo “gela”, lo paralizza. Vorrebbe tornare a giocare a basket o andare in bici, ma non ci riesce. Queste madri e questi padri hanno anche problemi economici, acuiti dal periodo pandemico. Non riescono a star dietro a tutte le uscite di cassa: tamponi, mascherine, psicologi, baby sitter… di contro permessi non retribuiti, ferie utilizzate, il rischio di perdere il lavoro e le spese che continuano ad aumentare. Si sono rivolti al pediatra, ma le visite sono bloccate o comunque i tempi di attesa sono lunghi e intanto loro non sanno cosa fare”».

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