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Cristiani martiri in Nigeria

Intervista ad Alessandro Monteduro, direttore di Acs

Hanno colpito durante la Messa di Pentecoste, in una chiesa piena di fedeli. Quella di domenica 5 giugno, per la Nigeria, sarà ricordata come una giornata di sangue. A Owo, cittadina nello stato di Ondo a 350 chilometri da Lagos, nel sud ovest del Paese, alcuni uomini armati hanno aperto il fuoco nella chiesa cattolica di San Francesco Saverio. Nelle prime ore il bilancio parlava di almeno 50 persone morte, tra cui donne e bambini, e molti feriti, anche in gravissime condizioni.

Nei giorni successivi sono arrivate notizie discordanti: «Le autorità statali parlano di 21 decessi confermati. Noi, che siamo in contatto con il vescovo della zona, sappiamo di molti più corpi arrivati in obitorio (dalle ultime notizie, le vittime oscillano tra le 70 e le 100 unità, ndr). L’impressione è che, forse, dalle autorità locali si voglia sottostimare i numeri, per ragioni facilmente intuibili…». A raccontarcelo, con la voce ancora scossa, è Alessandro Monteduro (in foto qui accanto), 52 anni, dal 2015 direttore della sezione italiana di Aiuto alla chiesa che soffre (Acs).

L’organizzazione è presente anche in Nigeria e, con diversi progetti, porta avanti un lavoro prezioso. Anche a tutela della fede e dei fedeli, in un Paese dove i cristiani sono il 46% della popolazione. «Non una minoranza, quindi, ma il cuore della Nigeria» come sottolinea Monteduro, prima di partire con l’intervista.

Monteduro, qual è il quadro della zona dove è avvenuto l’attacco?

«Era una delle zone più tranquille della Nigeria, a netta prevalenza cristiana. E, fino a domenica, non era stata interessata da atti criminosi e terroristici. L’attentato è una sorpresa rispetto alla zona, ma non lo è rispetto alla Nigeria e, in generale, all’area subsahariana. Solo chi non conosce può sorprendersi di fronte a notizie di queste tipo. Quotidianamente, ripeto, quotidianamente, in Nigeria, ci sono notizie che meriterebbero ben altra dignità dalla stampa occidentale. Saccheggi, villaggi bruciati, assalti alle chiese. Ma è incredibile anche la piaga dei rapimenti ai danni di sacerdoti e ragazzi. Ci siamo fermati alle ragazze di Chibok, rapite nel 2014. Ma gli assalti ai college sono continuati: dal dicembre 2020 al febbraio 2021, tre college sono stati assaliti da Boko Haram (organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria, ndr). Questo avviene perché c’è un sostanziale attacco alla laicità dello Stato, alle istituzioni statali e alle idee occidentali».

Non c’è solo Boko Haram. L’attentato di domenica pare abbia avuto un’altra matrice.

«Al momento, non c’è rivendicazione e non ci sono certezze investigative, ma possiamo affidarci alle analisi dei più esperti. Presumibilmente, a essere protagonisti sono gli estremisti appartenenti all’etnia dei Fulani (etnia nomade dell’Africa occidentale, di religione islamica, dedita alla pastorizia e al commercio, ndr). Se dovesse essere così, questa vicenda avvalorerebbe la pericolosa tesi riguardante la saldatura delle organizzazioni terroristiche nel nord della Nigeria. Non c’è solo Boko Haram, è vero, ci sono anche organizzazioni terroristiche affiliate allo stato islamico di Al Qaeda, nei paesi del Maghreb. E se prende questa consistenza l’unione tra due movimenti estremisti che fino a oggi non si erano incontrati, il quadro diventa ancora più drammatico. Per la Nigeria, non solo per i cristiani. Perché tutti sono vittime, anche le diverse comunità musulmane che non si piegano a queste ideologie politico-religiose. Mi fa ribrezzo l’idea che l’obiettivo sia l’oscurantismo della Nigeria».

Perché i nostri media non raccontano queste cose?

«Non raccontano questi fatti, come tante realtà drammatiche in altri Paesi del mondo. Un esempio? Fino alle 11 di lunedì ho ricevuto chiamate dai suoi colleghi per interviste e dichiarazioni: dopo poco nessuno mi ha più cercato… Non credo ci sia un laicismo esasperato in Occidente, per cui raccontare fedeli che muoiono in chiesa rischia di essere anacronistico e fuori luogo. No, c’è un disinteresse generale, se non per quelle poche ore di pseudo-indignazione. Questa è la sconfitta dell’Occidente: ci indigniamo per tutto, ma dopo alcune ore ci siamo già dimenticati. In tutti e 36 gli Stati della Nigeria, invece, ci sarà un’affluenza alla Messa ancora più alta rispetto a domenica scorsa. Le persone andranno in chiesa consapevoli di rischiare la vita, ma non si sottrarranno. Perché sentono la loro appartenenza a Gesù come vera, reale e concreta. Non di facciata».

Da oltre 100 giorni stiamo vivendo una guerra nel cuore dell’Europa. In Africa si vive questo clima ogni giorno.

«Vi fornisco questi dati. Secondo le Nazione Unite, 36 mila persone sono morte e 2 milioni di nigeriani sono sfollati a causa di due decenni di violenza da parte di Boko Haram. Cifre che rappresentano soltanto l’area nord della Nigeria. Altri dati importanti sono quelli di Croce Rossa: delle oltre 40 mila persone scomparse in Africa nel 21° secolo, la metà riguarda la regione nord est della Nigeria. Questi numeri non sono così lontani dai dati che arrivano dall’Ucraina».

Papa Francesco nel 2013, nella sua prima Udienza generale, ordinò la cessazione delle violenze e dei saccheggi nella Repubblica Centroafricana. Da lì ha sempre puntato la luce su queste emergenze, unico tra i leader mondiali…

«Sì, me lo ricordo bene. Il Papa andò anche ad aprire il Giubileo nella cattedrale di Bangui, e per oltre un anno si ottenne una fattiva e concreta tregua. Oggi stiamo sovraccaricando di responsabilità il Santo Padre, come se lui dovesse trovare tutte le soluzioni ai mali del pianeta. Finiamola di utilizzare il Pontefice come “foglia di fico”, con le solite frasi: “Ah, ma se il Papa volesse…” oppure: “Ci deve pensare lui”. Il Papa e la rete vaticana fanno quello che possono. E se non ci fossero, la situazione sarebbe molto più drammatica. Ne sono certo».

Cosa possono fare le autorità occidentali?

«L’appello delle autorità deve essere concreto, e a questo deve seguire una richiesta ferma e un impegno reale delle forze militari, delle forze di polizia e delle forze giudiziarie. Chi intrattiene relazioni commerciali con la Nigeria dovrebbe sbattere i pugni sul tavolo e garantire protezioni per i nostri fratelli cattolici. Ma la domanda è: chi si occupa di questi aspetti considera i nigeriani cattolici come fratelli?».

E noi, nel nostro piccolo?

«Continuiamo a sostenere con la carità queste comunità. È una chiesa povera con dei grandi religiosi che, pur non disponendo di alcuna ricchezza, aiutano come possono la comunità. Sono orgoglioso del lavoro di Acs: in Nigeria abbiamo realizzato progetti per oltre 2 milioni di euro, formando seminaristi, restaurando e ricostruendo luoghi di culto. Abbiamo anche realizzato un centro per le donne rapite e violate da Boko Haram. Questo luogo, che aprirà tra settembre e ottobre, si occuperà di “recuperarle” dal punto di vista fisico, mentale e lavorativo. Aggiungo anche che, nel nostro piccolo, dobbiamo indignarci concretamente. E poi esprimere solidarietà attraverso la preghiera: un’arma silenziosa e potente, più forte di ogni violenza».

Alessandro Venticinque

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