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Don Mario, 50 anni… in trincea

Intervista a don Cesario, cappellano dell’Asl

Don Mario Cesario, classe 1938, notissimo (e amatissimo) sacerdote alessandrino, fratello dell’altrettanto amato don Agostino: lo intervistiamo qui a Voce per un anniversario importante e… particolare. Ma lasciamo che sia lui a raccontarcelo, con il sorriso e la pacatezza che lo contraddistinguono.

Don Mario, che succede?

«Beh, 50 anni fa sono entrato per la prima volta in contatto con i malati di mente, in una struttura che, ai tempi, si chiamava ancora “Ospedale psichiatrico San Giacomo”, qui ad Alessandria. Era il giugno del 1972. L’allora vescovo monsignor Giuseppe Almici mi chiese “provvisoriamente” (sorride) di collaborare con il cappellano presente in quel periodo, don Fiorenzo Costa. Allora c’erano ben 1.500 ricoverati, che provenivano dalle due province di Alessandria e Asti. E in quell’ospedale lavoravano a diverso titolo circa un migliaio di persone».

I ricoverati erano tantissimi…

«Teniamo presente che all’epoca non c’erano ancora i farmaci che hanno scoperto in un secondo momento. E quindi chi dava di matto veniva portato lì per essere “contenuto”. Aggiungo anche che molti, per come li ho conosciuti io, non erano assolutamente da ricoverare: alcuni magari davano solo un po’ fastidio a casa, altri erano alcolisti, ma di certo non malati mentali; e altri ancora, mi duole dirlo, venivano mandati lì dalle famiglie, che non volevano noie. Guarda, ti racconto un aneddoto significativo».

Racconta pure.

«C’era un signore di Torino, aveva pranzato al “Rendez-Vous”, un ristorante in via Giordano Bruno che adesso non c’è più. Aveva ecceduto un po’ nel bere, e stava dando noia ai presenti. Ebbene, erano state chiamate le Forze dell’ordine, e da lì scattò il ricovero coatto allo Psichiatrico. Io gli parlai il giorno dopo, era assolutamente lucido e cosciente. Teniamo presente che chi entrava al manicomio, per legge, doveva rimanere ricoverato almeno una settimana. Allora io parlai con il primario, che fece uno strappo alla regola e dimise quel signore. Che mi fu sempre grato, e tutti gli anni mi mandava gli auguri di Natale».

Don Mario, i “matti” sono davvero irrecuperabili?

«Chi ha problemi di questo tipo oggi può vivere dignitosamente grazie alle cure farmacologiche. Io, però, un “matto” non l’ho mai visto guarire completamente. Anche se di questi tempi la vera malattia mentale è la depressione, non la follia».

Cosa pensi della legge Basaglia, che ha aperto i cancelli dei manicomi?

«Io sono d’accordo, però a un certo punto mi hanno chiesto di collocare nelle case di riposo quelli che si potevano dimettere. Sostanzialmente, lo Stato non aveva predisposto le strutture alternative che invece la legge prevedeva. E devo aggiungere che, in quella situazione, molti che conoscevo si tolsero la vita: chi gettandosi dal vecchio ponte Cittadella, chi sotto qualche camion e chi buttandosi dal balcone. Perché erano stati lasciati soli… Li ho nel cuore ancora adesso».

Ma i malati di mente possono voler bene davvero?

«Sicuramente sì. Non solo: se capiscono che tu fai un complimento non vero, te lo dicono subito. Alcuni di loro li ho accolti, insieme con mio fratello, nella parrocchia del Carmine, anche affidando qualche responsabilità».

Tu operi anche al “Gelso”, l’hospice di Alessandria, dal 2007, anno in cui è stato aperto.

«Quando vedo certe situazioni che umanamente sono difficili da accettare, mi domando se il Signore ci ha abbandonati oppure no, come si chiedevano anche i discepoli di Emmaus».

E cosa ti rispondi?

«Che con la fede te ne fai una ragione. E cerchi di camminare».

Andrea Antonuccio

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