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Cif, un cattolico a tutto tondo

Il ricordo dell’amico Roberto Piccinini

Pasquale Cinefra, personalità assai nota e stimata nel nostro territorio, è tornato alla Casa del Padre il 25 agosto, all’età di 96 anni. Abbiamo chiesto al suo grande amico Roberto Piccinini, priore della confraternita di San Giovannino ad Alessandria, un ricordo di Cinefra: il “Cif”, come lo chiamavano tutti.

Roberto, chi era il “Cif?”

«Il “Cif” era un cattolico a tutto tondo. La fede era un elemento costitutivo della sua persona e si esprimeva con un’estrema coerenza di testimonianza. Era un patriota, uno che ha lottato in prima fila per la libertà, ma soprattutto per l’onore dell’Italia. Il suo impegno antifascista era nato nell’oratorio di Ovada con monsignor Cavanna, e aveva trovato nell’Azione Cattolica il luogo naturale in cui svilupparsi. Come racconta lui stesso in una intervista, “Cif” mantenne sempre il riferimento ai parroci anche durante il periodo della Resistenza. E fu quindi naturale per me rivolgermi a lui quando monsignor Maggioni, allora vescovo di Alessandria, mi chiese di ridare vita alla confraternita di San Giovannino, che contava in quel momento solo su due anziane consorelle».

Tu come lo hai conosciuto?

«Io l’ho conosciuto negli Anni 70, alla Flm, la Federazione lavoratori metalmeccanici, che aveva sede in Corso Crimea ad Alessandria. Quello era un luogo fondamentale per chi era impegnato nel sociale nella nostra città. E di Cinefra, che era lì nella segreteria in rappresentanza della Cisl, mi colpì la sua “cortese fermezza”».

Spiegaci meglio.

«Era uno che non sbracava, non gridava, non usava slogan urlati come si usava a quei tempi. Però era fermissimo nelle trattative sindacali, e in tutte le questioni stava sempre e comunque dalla parte dei lavoratori. Era inflessibile nella difesa dei diritti. E dei doveri, ovviamente (sorride)…».

Come si conciliavano in lui antifascismo, impegno sociale e fede?

«Fu naturale per lui nel dopoguerra impegnarsi nelle associazioni ecclesiali, in particolare nell’Azione Cattolica. Rimase per tutta la vita amico personale di Carlo Carretto (importante esponente dell’AC, ndr). E altrettanto naturale fu il suo costante impegno nella Cisl, il sindacato che aveva come riferimento la dottrina sociale della Chiesa, avendo conosciuto la durezza della vita da emigrante per lavoro, prima in Francia e poi in Svizzera».

Mi racconti “il Cif” come uomo di fede?

«Esprimeva la fede non in modo intimistico ma pubblicamente, senza nessun problema. A San Giovannino serviva Messa tutte le domeniche, svolgeva il servizio di lettore, intonava i canti e così via. Ma questo lo faceva anche, per esempio, durante le celebrazioni dell’Anpi, di cui è stato presidente. Era normale per lui, dopo aver fatto il suo discorso, servire Messa a don Berto Ferrari, cappellano della Mingo (divisione partigiana di cui il “Cif” aveva fatto parte, ndr), durante le celebrazioni della Benedicta. E fu lui a porre l’accento sulle trattative che avvennero tra i rappresentanti del Cln e i comandi nazifascisti che si svolsero nella sala del Capitolo della Cattedrale, con l’obiettivo di liberare Alessandria prima dell’arrivo degli Alleati. Trattative che si svolsero con la mediazione della Chiesa alessandrina, attraverso i suoi rappresentanti più importanti. Ricordo monsignor Pier Damiano Civera, vicario capitolare in quanto il vescovo Milone era deceduto, monsignor Urbano Viazzi, monsignor Antonio Demartini e monsignor Quinto Gho, che come segretario del Capitolo, stese il verbale di tutte le riunioni. Noi conosciamo quei fatti proprio grazie a quel verbale! E ancora oggi le celebrazioni del 25 aprile iniziano, in accordo con il presidente dell’Anpi Dario Gemma, con il ricordo nella sala del Capitolo. A questo proposito, ho un ricordo personale…».

Raccontacelo.

«Come capo di gabinetto della Presidenza della Provincia, ho dovuto occuparmi istituzionalmente dell’intera pratica per il conferimento alla provincia di Alessandria della Medaglia d’oro al Valor militare per meriti acquisiti durante la Resistenza. Fu un lavoro colossale, perché si trattò di raccogliere le testimonianze concrete degli episodi della lotta di Liberazione. Fu possibile svolgere le ricerche nel modo migliore innanzitutto grazie ai collaboratori della Presidenza, all’allora addetto stampa Marco Caramagna e alle preziose indicazioni di Cinefra e anche di William Valsesia, altro personaggio della Resistenza alessandrina, allora direttore dell’Isral. Nel presentare la pratica al Ministero della Difesa, dovemmo anche redigere una proposta di motivazione. Un lavoro difficile, perché non avevamo dimestichezza con le espressioni tipiche di queste onorificenze. Ci pensammo a lungo, fintanto che trovammo la formulazione che ci sembrò più adeguata. Il Ministero modificò integralmente la nostra proposta, eccetto le prime parole introduttive, che furono proprio il frutto dei ragionamenti tra me e il “Cif”. Ancora oggi per me è commovente sentirle pronunciare nelle celebrazioni ufficiali: “Terra di antiche tradizioni di libertà, fedele alle sue glorie civili e sociali…”».

Andrea Antonuccio

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