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Vivere la morte/3: intervista a Giulio Vannucci

Giulio Vannucci, “Ricostruttori nella preghiera”

Prima domanda: chi sei?
«Sono Giulio Vannucci, un consacrato che vive nella Fraternità di San Leonardo al Palco a Prato, che fa capo ai “Ricostruttori nella preghiera” (vedi box, ndr). Sono qui ormai da qualche anno perché mi sono innamorato di questo stile di vita a cui mi dedico completamente. Prima ho fatto l’operatore sociale, il musicista folk-punk, ma anche l’insegnante di Lettere in una scuola primaria e alle superiori. Dopo di che ho incontrato questo nuovo stile di vita che mi ha conquistato. Con grande serenità e determinazione ho chiuso tutto ciò che stavo facendo, e ho iniziato questa nuova vita: la proposta forte e bellissima dei Ricostruttori».

Barba folta, capelli lunghi, vegetarianismo. È una moda oppure c’entra qualcosa con l’essere cristiano?
«Quando il nostro fondatore ha iniziato, il vegetarianismo non andava di moda: era l’inizio degli Anni 80, quindi i capelli lunghi casomai rimandavano all’immaginario “hippy”. Ora è tornata di moda la barba, va molto di moda il vegetarianismo, e il capello lungo non è più così malvisto. Quindi siamo alla moda (sorride). Ma, ovviamente, non è questo il punto. E mi spiego. C’è una lunga tradizione di studi sul vegetarianismo cristiano: sono tantissimi i santi che hanno smesso di mangiare carne. C’è chi l’ha fatto per motivi di preghiera, perché, diceva, si prega meglio. C’è anche chi non mangia carne per amore del Creato. Diciamo che la nostra scelta li comprende entrambi. Infine, la barba e i capelli lunghi non sono un obbligo, ma una nostra consuetudine. È soprattutto un esempio di sobrietà: il corpo viene, con naturalezza, lasciato libero e con meno “manomissioni” possibili. I Padri della Chiesa e dei Padri del deserto dicevano che il macrocosmo intorno all’uomo si riflette nel microcosmo nell’uomo. E dicevano che l’elemento vegetale è ciò che, nella barba e nei capelli dell’uomo, trova questo riflesso. Quindi sono tutte scelte dentro una visione il più spirituale possibile dell’esistenza e del vivere».

La vostra giornata è scandita da momenti di meditazione. Meditare, come la preghiera, può portare a Cristo?
«Su questo c’è un intervento del Papa dell’aprile 2021. In una catechesi dice: “È facile incontrare dei cristiani che sono seduti a gambe incrociate e con gli occhi chiusi. Cosa stanno facendo? Stanno meditando”. E poi va avanti: “È lecito, fa benissimo, va incentivato. Però il cristiano ci mette una cosa in più: fa diventare la meditazione una preghiera”. Quindi, ovviamente, se la meditazione è cristiana, la profondità che si ricerca è in Cristo. Sempre in direzione del Padre, sempre nello Spirito».

In questi ultimi anni state ricostruendo il borgo “Tutto è vita”. Di che cosa si tratta?
«Questo mucchio di pietre ci ricorda che per rinascere, a un certo punto, bisogna morire. Ma racconta anche che la morte non è la fine della vita, ma solo un passaggio. E questo lo diciamo da cristiani, magari distrattamente, nel Credo e nei funerali. Però, in genere, siamo molto impauriti e pensiamo che, a un certo punto, tutto questo finirà. Lo sentiamo, ma non lo diciamo neanche tanto, perché non abbiamo un lessico in grado di parlare della morte: allora è diventato un tabù, un argomento che non si può trattare. Però la morte è incredibile, è il limite di tutti noi, è ciò verso cui noi andiamo incontro. Se la morte non è la fine della vita, non è l’opposto della vita, ma è l’ingresso in una nuova vita e il passaggio che dà compimento all’esistenza, allora tutto cambia. Il borgo nasce per accompagnare le persone che stanno affrontando questo passaggio importantissimo della propria esistenza. Ed è un’esperienza, quella di accompagnatori, che già da diversi anni stiamo facendo. Qui ci sarà un hospice, una struttura in cui i pazienti passano gli ultimi momenti della vita. Possono essere giorni, raramente settimane, quasi mai mesi. Sono luoghi in cui c’è bisogno di una grande assistenza dal punto di vista medico, psicologico e spirituale. Questo luogo nascerà per un accompagnamento integrale della persona, pur mantenendo un’infinita libertà rispetto alla tradizione da cui proviene: il borgo sarà un luogo interreligioso. Ci sarà un’altra struttura, infatti, qui accanto. Si tratta di una foresteria in cui si potranno acquisire tutti gli strumenti, bellissimi e credibili, che le varie tradizioni spirituali, e il cristianesimo prima di tutto, forniscono per affrontare la morte come un passaggio. Per vivere questo momento serenamente, con punto di vista incredibile e per godersi tutti gli altri attimi dell’esistenza che precedono questo passaggio finale. E non sprecarne neanche uno».

Ma in questo luogo c’è di più.
«Certo, il borgo avrà la “Casa del grano”, che riprende la metafora del chicco di grano che, per rinascere, deve prima morire. E poi ci sarà, come dicevamo, una foresteria in cui passare un weekend, una settimana o un mese per acquisire tutti gli strumenti per accompagnare e affrontare la morte. E nella parte inferiore ci sono già l’orto, l’officina del fabbro, l’officina del falegname. Ci sono i laboratori artistici e c’è il forno. In questi spazi alcune famiglie verranno ad abitare qui: una piccola comunità di consacrati e consacrate che vivranno con noi, preparandosi a questo passaggio incredibile».

Da diversi anni state accompagnando le persone negli ultimi momenti della loro vita: ci racconti un aneddoto?
«Ovviamente le storie delle persone sono sempre una morte e una resurrezione. Tutti abbiamo l’esperienza di essere stati bambini, adolescenti, ragazzi, adulti, anziani: ogni volta lasciamo qualcosa. Ci sono i lutti che costellano la vita e che riguardano le persone che ci stanno accanto. Quando è mancato il primo dei nonni che ho accompagnato alla morte, non avevo questo lessico e mi ricordo che tutta la nostra famiglia si era riunita attorno a lui. Che, a un certo punto, ci ha detto: “Oh ragazzi, io qui sto morendo”. Non avendo il lessico e l’esperienza che abbiamo adesso, gli rispondevamo: “Ma no, nonno, che dici? Adesso vediamo…”. Oppure cambiavamo direttamente discorso, o facevamo finta di niente. Invece, poi, è stato differente quando, con un’altra consapevolezza, abbiamo accompagnato da vicino una zia e un’altra nonna. Era bello guardarle negli occhi, quando dicevano: “Ragazzi, ma io qui sto morendo”. E noi rispondevamo: “Lo sappiamo, ma noi siamo qui, e ti accompagniamo”. Perché l’accompagnamento non è fatto di tante parole, ma di grande presenza. È stato bellissimo parlare con loro di quello che avrebbero fatto dopo, del fatto che l’amore tiene uniti pur non vedendosi, delle cose che avremmo voluto raccontargli, ma che non abbiamo fatto in tempo. E, ovviamente, è stata centrale quella benzina incredibile che è la fede. È stato veramente un regalo, che ci ha fatto vivere quel momento triste come un momento di speranza».

I “Ricostruttori nella preghiera”

Il percorso che porta alla nascita dei Ricostruttori inizia con una crisi, quando il gesuita padre Gian Vittorio Cappelletto (fondatore dei Ricostruttori) vive un periodo di grande travaglio, in cui si fa strada l’aspirazione verso il raccoglimento e la preghiera. In questa fase incontra un monaco indiano che lo introduce alla pratica della preghiera profonda e nell’estate del 1977 si reca in India dove incontra alcuni monaci che lo invitano a diffondere la meditazione tra i cristiani di Occidente e a riscrivere il Vangelo con la sua stessa vita.
Tornato in Italia organizza alcuni corsi di meditazione durante i quali si rende conto che tra i partecipanti vi sono tanti giovani che si sono allontanati dalla Chiesa. Decide così di impegnare i successivi trent’anni della sua vita nel cercare di accostare e di orientare l’indifferenza dei lontani, il loro scetticismo di fondo, la loro attrattiva verso pratiche e percorsi considerati capaci di assicurare un benessere del corpo e della psiche.
La Missione dei Ricostruttori nella preghiera è quindi farsi testimoni di una cristianità capace di venire incontro al bisogno di preghiera e ricerca interiore, spesso inconsapevole, dell’uomo contemporaneo. Attingendo alle risorse della tradizione cristiana, propongono un cammino di rientro in se stessi, che consenta di raccogliere il proprio sguardo, disperso all’esterno e disorientato, e di introdurlo nel cuore: la meditazione profonda.

Enzo Governale

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