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«Bellezza, arte e fede: il fulcro del mio lavoro»

Uffici pastorali

La parola ad Anida De Cicco, collaboratrice dell’ufficio Beni culturali della Diocesi

Osservare, cercare, scoprire. Per poi trovare e analizzare, riportando su un foglio bianco le dimensioni, il materiale e le tecniche esecutive, il periodo di realizzazione, lo stato di conservazione in cui versa il manufatto. Inoltre la fotografia che rende la suppellettile, il paramento o il dipinto un soggetto palpabile alla vista e indispensabile al riconoscimento a distanza. Tutti dati che vengono poi riportati all’interno di un programma attentamente studiato e periodicamente aggiornato dall’ufficio Beni culturali della Cei, utile a prendere conoscenza e soprattutto coscienza di quanto in tutta Italia, diocesi per diocesi, sia conservato e custodito. Questo l’intento della Cei a livello nazionale, diocesano nel nostro caso specifico. Con questo spirito l’ufficio Beni culturali della Diocesi di Alessandria, nella persona del suo direttore e delegato vescovile, professor Luciano Orsini, ha aderito da subito all’iniziativa della Cei, sentendola una priorità assoluta al fine di tutelare i tesori, talvolta sconosciuti, qui conservati. Tanto che spesso si è rimasti piacevolmente sorpresi dalla preziosità in termini di fattura e perizia esecutiva di alcuni manufatti trovati nel corso di questo lungo e sorprendente percorso, in alcune sacrestie di piccole chiese di piccoli paesi, rendendo tutti noi consapevoli di una ricchezza e di una varietà che ha enormemente arricchito il patrimonio di capolavori già noti. Lo definisco sorprendente perché è esattamente così che mi sentivo di fronte al portone di una chiesa che aprivo per la prima volta: pronta a essere sorpresa, atteggiamento che nel tempo è diventata una vera e propria aspettativa, quasi sempre soddisfatta! Non è così scontato immaginare quanto l’arte e la devozione abbiano prodotto in secoli di storia anche in una piccola realtà di provincia come la nostra, ma vi garantisco che è proprio così, e spero in questo mio intervento di saper trasmettere ai vostri occhi (ma soprattutto al vostro cuore) le forme esteriori e tutta la bellezza che la devozione dei fedeli della nostra Diocesi è riuscita a produrre nei secoli trascorsi dalla fondazione a oggi.

Ed è proprio questo inestimabile patrimonio che noi operatori cerchiamo di tutelare, ma prima ancora di rendere vero.
Sì, perché scoprire un manufatto non comunemente noto, magari riposto in un armadio e lì conservato da decenni, sostituito nell’uso da oggetti di più recente produzione e talvolta più funzionali, spesso nel tempo ne ha fatto “dimenticare” l’esistenza.
Quindi ritrovarlo, descriverlo, fotografarlo e inserirlo in una vera e propria piattaforma a livello nazionale, significa riportarlo alla luce, renderlo vero appunto, come se fino a quel momento fosse vissuto (o sopravvissuto) in un limbo a metà tra la presenza e l’oblio.

Questa l’essenza e, in breve, le dinamiche operative dell’attività di schedatura di cui mi occupo fin dal 2001, dapprima come collaboratrice di una professionista preparata e competente da cui ho appreso i primi rudimenti di questo mestiere, quando ancora giovane studentessa universitaria, cercavo di avvicinarmi a questo mondo, trasformando, col tempo, la mia passione in un lavoro, grazie soprattutto alla passione che ha saputo trasmettermi il professor Orsini che è stato per cinque anni mio docente e che successivamente mi ha introdotto in questo fantastico mondo. Fin dal principio è stata insieme insegnamento e stimolo ad affinare sempre più gli strumenti utili a svolgere con preparazione questa attività, la cui essenza, fatta di bellezza, arte e fede, è sempre stata il fulcro dei miei studi e delle mie passioni.

Il mio approccio a questo lavoro ha assunto sfumature via via diverse col passare del tempo. Iniziata come un’attività formativa dalla quale ho potuto attingere più di quanto abbia saputo e potuto dare, col tempo e con l’acquisizione di conoscenza e competenza, è diventata una vera e propria responsabilità: nulla doveva ‘sfuggire alla mia penna’ in termini di manufatti e di singoli particolari che quei manufatti caratterizzavano, in modo da renderli il più possibile facilmente riconoscibili. Perché solo così credevo e tutt’oggi sostengo con ancora più convinzione, si possa agire sui due livelli che a mio parere, rendendo l’inventario uno strumento efficace e necessario: conoscenza e tutela. Due aspetti che si completano, imprescindibili l’una dall’altra, che solo insieme concorrono alla realizzazione del fine ultimo: perpetuare nel tempo la bellezza e tutti i significati in termini di fede e devozione di cui si fa portatrice.
Nel corso di questa mia lunga ricognizione in tutte le chiese parrocchiali e sussidiarie della nostra Diocesi mi sono sentita spesso responsabile di un patrimonio che sentivo di dovere difendere senza esclusione di alcunché io ritenessi meritevole di attenzione e di un qualche pregio e interesse di natura storico-artistica, rendendo il manufatto oggetto di una scheda di inventario affermandone così la presenza e, quando necessario, comunicando tempestivamente all’Ufficio e al suo direttore, le criticità in termini di collocazione e conservazione in modo che si potesse intervenire perché il bene fosse tutelato e/o portato in sicurezza. Tutti questi passaggi, e quindi gli eventuali spostamenti e interventi aggiornavano poi la scheda, lasciando una traccia tangibile e nota degli accadimenti. Non solo, nei purtroppo non così rari casi di furti, le schede di inventario permettono di identificarli con certezza rendendo possibile il ritorno alla loro legittima proprietà. In questo senso risulta preziosa la collaborazione con il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale che, in occasione di ritrovamenti di beni artistici ecclesiastici trafugati, inoltra un elenco dettagliato di tali beni agli uffici competenti delle diocesi di tutta Italia, con descrizioni e immagini che consentono, attraverso un controllo incrociato con gli inventari, il riconoscimento dei manufatti e la rivendicazione di proprietà degli stessi.

Per queste ragioni definisco il sentimento che ha accompagnato e tuttora accompagna questa attività, come una responsabilità, perché definirne con attenzione la loro esistenza è già una tutela di per se stessa, così come la poca attenzione nell’ispezionare le chiese e gli ambienti ad esse connessi o la superficialità nel descriverli posso segnare il loro destino in termini di dispersione, vittime del sempre più dilagante commercio illegale di opere d’arte.
Questa nefasta eventualità si verifica quando i beni, non essendo noti perché non inventariati, non possono essere riconosciuti e, viceversa quando riconosciute, non avendo a loro sostegno alcun documento che ne attesti la proprietà, non possono essere rivendicate.

A volte è capitato di trovare, custoditi da parroci particolarmente sensibili a questo argomento alcuni inventari, redatti in occasioni di visite pastorali, da fedeli, sacrestani o dai parroci stessi, in cui sono riportati lunghi elenchi di beni che, nonostante mostrassero l’attenzione e la devozione verso i beni che la chiesa custodiva, la loro approssimazione non è stata sufficiente ad identificarli, alcuni sono stati riconosciuti nel corso dell’ispezione di altri aimè, seppur cercati con scrupolo, il tempo e l’uomo non hanno avuto misericordia e non se ne è trovata traccia. Mi riferisco anche semplicemente allo scorrere del tempo, perché non possiamo dimenticare che si tratta, nella maggior parte dei casi, di oggetti che per la loro stessa natura sono stati creati per essere utilizzati, o semplicemente esposti alla devozione talvolta in ambienti in cui la temperatura e l’umidità non ne hanno sostenuto una conservazione ideale ma costantemente presenti ad esprimere la religiosità di chi li ha commissionati.

Quindi, nel rispetto della loro genesi non è sempre auspicabile che vengano rimossi e spostati anche nel caso in cui il fine sia una migliore salvaguardia, quindi bisogna agire con un monitoraggio attento che si ponga come mediatore tra la tutela e l’utilizzo, tra arte e fede.
Trovo sia utile a tale proposito sottolineare che non sempre i parroci, soprattutto in passato e non certo per disonestà ma piuttosto per loro formazione e/o predisposizione personale, hanno mostrato particolare sensibilità rispetto al valore artistico di alcuni oggetti, dando loro un valore di fede e di uso che in tal senso e a tale fine, non diventava cura e attenzione a livello materico e formale, decretandone talvolta la loro sostituzione o cercando di intervenire in situazioni di particolare degrado con con interventi che, nel difendere la sopravvivenza del bene risultavano però dannosi per l’aspetto più intrinsecamente storico-artistico.
A questo proposito ricordo una piccola statua in legno di San Sebastiano, le cui varie ridipinture nel corso dei decenni erano riuscite a difenderlo dall’attacco di insetti xilofagi e dagli interessi dei ladri essendo l’ultima ridipintura talmente approssimativa da rendere il manufatto di scarso interesse anche per il commercio illegale di opere d’arte, categoria nel quale in quelle particolari condizioni, sembrava non rientrare. Un’attenta analisi però ha permesso di riconoscere, sotto svariati stati di ridipintura, un pregevole manufatto settecentesco di cui nessuno aveva ormai più alcuna memoria.

Nonostante questo molti fedeli ancora si inginocchiavano di fronte e questa statua, assolutamente disinteressati all’estetica più o meno autentica ma piuttosto alla sua esistenza che di per sé stessa risultava ampiamente sufficiente nella sua integrità. In quest’ottica si era intervenuti, con fede e devozione che, come mostra questo caso specifico, talvolta non vanno di pari passo con la tutela dell’oggetto d’arte in senso stretto.
Ma a ben guardare, questo susseguirsi di discutibili interventi ha rappresentato comunque una salvezza per il manufatto che nella sua essenza non è stato vittima del mutare delle mode e dei costumi perché la fede è immutabile, costante e perpetua nel cuore che spesso trova negli occhi un veicolo di vicinanza e devozione che non si ferma alla veridicità materica ma va ben oltre! Questo però non può e non deve essere un alibi ma piuttosto motivazione ancora più forte e giustificata a che tali interventi siano guidati ed indicati secondo un indirizzo che tuteli e valorizzi entrambi gli aspetti. Risulta quindi evidente come l’inventariazione non sia un’attività semplice e lineare ma piuttosto una base di partenza in continua evoluzione e continuamente soggetta a modifiche sulla quale l’Ufficio Beni Culturali e l’interesse diretto del prof.

Orsini che lo dirige e lo coordina, struttura i suoi piani di intervento a breve, medio o lungo termine a seconda delle necessità più o meno urgenti delle singole realtà che necessitano di essere costantemente sovraintese perché gli interventi necessari siano indirizzati secondo il più corretto orientamento storico/artistico. Perché se è vero che oggi la situazione è di molto migliorata in termini di attenzione e sensibilità da parte dei sacerdoti, molto più attenti ai beni di cui sono i custodi, è altrettanto vero che il lavoro e l’attenzione necessari alla salvaguardia di questo patrimonio risulta sempre più articolato e delicato per via principalmente del sempre maggiore rischio di furti e del tempo che scorre e lascia il segno del suo passaggio su ogni cosa, senza alcuna deroga neppure per preziosi e stupendi manufatti portatori di importanti contenuti storici, artistici, simbolici e soprattutto, nel nostro caso specifico, di fede.

Unica strategia percorribile è la conoscenza del proprio patrimonio e un attento monitoraggio fatto di ricognizioni frequenti e puntuali, perché tutelare questi beni è tutelare non solo il manufatto in termini di espressione artistica ma è tutelare e difendere una storia di fede e devozione che, dopo averli creati ne ha permesso la conservazione fino a oggi.
La devozione che li ha ispirati, la maestria che li ha realizzati e noi operatori che cerchiamo di difenderli dal tempo e dalla dispersione, nel tentativo di perpetrarli ancora e ancora con l’auspicio di renderli fruibili e godibili a un pubblico appassionato e interessato ad una storia dell’arte che in tutte le forme a sua disposizione ha voluto esprime questa devozione che è fede.

Anida De Cicco

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