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È un santo, ne sono convinto

Il nostro Vescovo ci racconta il “suo” Benedetto XVI

Eccellenza, il 5 gennaio lei ha partecipato a Roma ai funerali di Benedetto XVI. Abbiamo letto giudizi e commenti a volte contrastanti su questo Papa. Chi è per lei?
«Innanzitutto un Papa. E quindi un uomo scelto da Dio per guidare la Chiesa e per essere, nel mondo, una guida nell’incontro con Cristo. Come Francesco, Giovanni Paolo II, Giovanni Paolo I, Paolo VI, Giovanni XXIII… È il Papa a cui veramente ho consegnato la mia obbedienza, la mia disponibilità: quel “sì” totale che ho dovuto dire quando Benedetto mi ha chiesto di diventare vescovo di Alessandria (la nomina è avvenuta il 20 ottobre 2012, ndr). Oltre che Papa, devo dire che è un santo. Ne sono convinto».

Cosa intende quando dice che è un santo?
«Lo dico nel senso cattolico, cioè “tecnico”, del termine. È un uomo che, al di là dello svolgere il suo compito con coscienza, dedizione e grande impegno, lo ha fatto sempre con un rispetto, una visione soprannaturale e uno sguardo profetico. Le sue parole sulla Chiesa (la profezia sul futuro di una «Chiesa della Fede» e su «quel piccolo gregge di credenti», in un ciclo di lezioni radiofoniche del 1969, ndr) sono veramente impressionanti. Ma poi la sua umiltà, l’innocenza che coglievi nei suoi occhi, le sue espressioni di stupore sincero di fronte a cose piccole… ecco, questa è la santità».

Che cosa le ha insegnato papa Benedetto XVI?
«La sua bellissima innocenza. Una lucidità di lettura delle cose e una capacità di sintesi straordinaria. Ha fatto diversi anni di Curia romana prima di essere eletto Papa, e ne è uscito fuori non guastato, inaridito o spento. No, ne è uscito migliore. Mi hanno anche raccontato che quando era Papa aveva un grande rispetto per il lavoro degli altri: era estremamente rispettoso di quello che facevano i dicasteri di Curia, e delle competenze che avevano sulle diverse materie. Queste sono cose che ti fanno capire questa figura, la cui fede è evidente. Quando lo ascoltai per la prima volta mi accorsi subito che era una spanna sopra gli altri. La diocesi di Genova aveva organizzato un corso per giovani preti, tra cui il sottoscritto, e ci fu una giornata tenuta dall’allora cardinale Ratzinger. Rimasi veramente colpito della statura di quell’uomo».

Diversissimo da Francesco.
«Diversissimo…».

 

 

Ma come fa la Chiesa a sopportare queste “variazioni di personalità”?
«Beh, intanto vedo che la Chiesa non ci sta riuscendo (sorride). Si sta facendo una fatica veramente notevole. E, certo, ho faticato anch’io con diversi Papi, Francesco incluso. Tuttavia, quando si ha chiaro che il Signore ha scelto una persona per il Ministero petrino, allora con saggezza, intelligenza e disponibilità bisogna arrivare a capire il suo ruolo nella Chiesa ed esserne collaboratori con tutte le proprie forze. Questo è quello che ho vissuto con ogni Papa, e devo dire di averne tratto giovamento».

Non è facile “piegarsi” a questi cambiamenti.
«Noto che manca nella Chiesa la visione soprannaturale sul Papa. Purtroppo abbiamo uno sguardo mondano, fatto di correnti, di divisioni, di teologie. Ho appena letto sull’Apocalisse: “Vidi una porta aperta nel cielo, e la prima voce, che mi aveva già parlato come uno squillo di tromba, mi disse: «Sali quassù e ti mostrerò le cose che devono avvenire in seguito»”. Tutti noi cristiani facciamo molta fatica ad avere questo sguardo soprannaturale. Cioè ad aprire la ragione, come diceva Benedetto. Aprire la ragione, guardare le cose da una prospettiva superiore per la quale, se quello è il Papa, quello che è stato scelto per guidare la Chiesa, vuol dire che il Signore se ne sta servendo per qualcosa di cui la Chiesa ha veramente bisogno».

Torniamo ai funerali. Che cosa ci può raccontare?
«È stato un momento di preghiera straordinario, in cui la Chiesa ha messo ai piedi di Dio l’affetto per questo Pontefice e lo ha presentato alle porte del Signore, perché Lo accolga nel numero dei suoi servi che in Paradiso celebrano la liturgia del Cielo. Quando mi sono trovato davanti al suo corpo esposto nella Basilica di San Pietro, ho pensato: “Adesso, finalmente, puoi vedere la Chiesa dalla parte giusta”. Chissà che stupore contemplare lo splendore del Mistero della Chiesa, visto dalla parte giusta. Chissà che gioia… gliela invidio un po’ (sorride)».

Perché?
«Perché è la gioia che attendiamo tutti noi in questo cammino di cui ci sfuggono tanti, troppi elementi. E andiamo avanti a tentoni. Io sono qui, a 60 anni, ma quante cose sto scoprendo in positivo sulla Chiesa di cui non avevo la minima percezione. Per me è una gioia pensare che lui è lì, e un giorno anch’io potrò vedere finalmente le parte giusta. E pensavo alla “Vocazione di San Matteo” di Caravaggio: c’è Gesù che punta il dito, ma il pittore gli mette davanti San Pietro, anche lui con il dito puntato, pur se in modo meno perentorio. Pensando a questo, pregando ho chiesto a Benedetto: “Tu sei stato la mano di Pietro che ha puntato il dito su di me e mi ha chiamato. Finora ti ho lasciato quietare perché avevi troppo da fare in questa vita. Ma adesso che sei di là, e hai la potenza e la forza di chi è risorto effettivamente, prega per me, perché tu mi hai chiamato a questo Ministero. E tu adesso devi aiutarmi”».

Andrea Antonuccio

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