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«Scappavo da una Chiesa moralista, poi ho incontrato la misericordia»

In pace con se stessi

Beatrice Fazi è attrice e conduttrice televisiva. La ricordiamo nel ruolo di Melina in “Un medico in famiglia”, e come volto di Tv2000 per i programmi “Per sempre” e “Beati voi”.

Beatrice, partiamo dal libro “Un cuore nuovo”, in cui lei racconta la sua conversione.
«È la storia della guerra, la buona battaglia di cui parla San Paolo, tra bene e male, che si combatte soprattutto nel proprio cuore. Il libro ha come titolo “Un cuore nuovo”, perché a un certo punto della mia vita ho capito di avere un cuore di pietra e di avere bisogno di un aiuto dall’Alto. Perché da sola questo cuore non era capace di amare. Non sarei capace di amare, innanzitutto me stessa. La mia è una storia molto bella, poco originale, devo dire, perché potrebbe essere sintetizzata anch’essa con la parabola del figliol prodigo…».

Ce la può raccontare?
«Quando avevo 18 anni sono andata via di casa, inseguendo il sogno di fare l’attrice. Sono venuta a vivere a Roma, ero nata a Salerno. Avevo vissuto con molta sofferenza gli anni della mia adolescenza, perché i miei genitori si erano separati. C’erano tanti meccanismi un po’ “deviati” nella mia famiglia: il rapporto con mio fratello, molto conflittuale, altrettanto con mia madre. Insomma, ero andata via di casa con un grandissimo senso di ribellione, di rabbia, anche perché avevo delle domande. E il mio spirito urlava, chiedeva di conoscere quale fosse il senso della mia vita. A queste domande nessuno sapeva dare risposta. Mi ero scontrata con l’ipocrisia degli adulti, con dei docenti forse anche poco capaci di educare e tirare fuori il meglio da me. E avevo cominciato a cercare una straordinarietà, una vita orientata verso qualcosa di grande. Cercando però questa straordinarietà nei posti sbagliati: a 14 anni facevo scorribande nei supermercati, ho cominciato a fare uso di stupefacenti, droghe leggere. Non ho mai fatto cose chissà quanto gravi. Però intorno ai 20 anni una cosa molto grave l’ho commessa: un aborto volontario, perché sono rimasta incinta dopo aver iniziato a vivere la mia vita spregiudicata, libera, da donna autodeterminata, rinfacciando ai miei genitori di avere fallito. Alla ricerca sempre di quella ragione per essere al mondo, di quel senso, di quella pienezza che non provavo da nessuna parte. Mi sono così “buttata” tra le braccia di un uomo molto più grande di me, e sono rimasta incinta».

E lì che cosa ha fatto?
«Spinta anche dal consiglio di tante cattive maestre, non ho ascoltato quel sentimento di gioia, incredulità e meraviglia che ho provato di fronte al test di gravidanza, ho dato ascolto alla paura. La paura di essere giudicata male, venivo da una città provinciale come Salerno. Avevo paura di rimanere sola, di essere rimasta sola in una cosa molto più grande di me. Ho ascoltato queste mie “cattive maestre”: mi hanno portato in un consultorio nel quale molto semplicemente non ho potuto usufruire appieno della Legge 194. E quello che denuncio è che comunque non ho ricevuto un colloquio dissuasivo, come avrebbe dovuto essere, nel quale essere informata anche delle conseguenze che questo aborto avrebbe avuto sulla mia vita psichica e relazionale. E soprattutto c’erano delle alternative: la culla termica, partorire in anonimato, dare ai bambini in affido, il “Progetto Gemma”, i centri di aiuto alla vita. Ma nulla di tutto questo mi è stato proposto, così ho abortito e ho pagato le conseguenze sulla mia pelle, soffrendo di disturbi alimentari, disordini affettivi, ansia, desiderio di farla finita: il male di vivere, che cito nel sottotitolo del mio libro. Fino a quando, una sera, sono entrata in una chiesa: un gruppo di fedeli stava adorando un’ostia consacrata, e io mi sono sentita accolta per la prima volta nella mia vita. Avevo ricevuto i Sacramenti quando ero piccola, ma mi ero fermata alla Prima comunione. In passato ero scappata da una Chiesa di cui conoscevo solo un volto moralista, non avevo ancora incontrato la misericordia. Invece quella sera forse ha iniziato a farsi strada, dentro di me, l’idea che Dio non fosse cattivo, non volesse per forza punirmi per i miei errori. E poi da lì è iniziato un lento percorso che dura ormai da più di 20 anni: sono venuta in contatto con un sacerdote, don Fabio Rosini, e grazie alle sue catechesi sulle “Dieci parole” dei Comandamenti mi sono riavvicinata al messaggio cristiano. È stata una evangelizzazione travolgente. che mi ha cambiato la vita, ha cambiato il mio modo di ragionare, perché mi ha fatto conoscere il vero volto di Cristo, la misericordia. E, soprattutto, perché siamo arrivati al termine di quelle catechesi con la consapevolezza che, dall’alto della Croce, Cristo ci donava sua madre. Quindi noi possiamo vivere da figli, possiamo vivere da redenti, qualunque sia il peccato che abbiamo commesso nella nostra vita».

Si può ricominciare, dunque.
«Possiamo ricominciare, certo. E per me è stato un inizio bellissimo che ho preso molto seriamente. Ho messo in gioco tutto… anche la mia recente unione con colui che oggi è mio marito: lui era nichilista, assolutamente contrario a qualunque ingerenza della Chiesa nella sua vita (sorride) e veniva da un precedente matrimonio. Abbiamo chiesto il riconoscimento di nullità, e ci siamo sposati. Oggi abbiamo quattro figli, siamo anche diventati catechisti e ogni due settimane andiamo a confessarci. Per dire quello che siamo diventati, ben lontani dalle persone che eravamo».

Che peso ha avuto la Madonna nel suo percorso di conversione?
«Avendo avuto un rapporto difficile con mia madre, è stato importante recuperare un rapporto di tenerezza, un sapere di poter tornare sempre a casa, sempre da Lei. Per avere una guida in Lei che ci indica suo Figlio: “Fate come Lui vi dice”. È stata fondamentale per me una catechesi che ricevetti sulle nozze di Cana: imparare una disciplina nel percorso spirituale, quel riempire le giare con la preghiera, quella relazione con Dio che va curata e che Lei tiene come sott’occhio. Come se ti sorvegliasse e ti desse un monito. Ti dice: “Attenta, se sei infelice, se ti senti ripiegata su te stessa, è perché non stai guardando Lui. Guarda Lui, stai con Lui. Mio figlio è la via, la verità e la vita”. E poi c’è il Rosario, che per noi, come famiglia, è la preghiera di elezione, la preghiera che salva il nostro matrimonio. Peraltro, è la preghiera che mio marito mi ha insegnato a recitare in latino, perché sembra sia un’arma più efficace contro le tentazioni del Maligno, che sempre mette in atto la guerra tra bene e male. Quella guerra che inizia proprio qui, nei pensieri maligni, e che va combattuta sempre. Perché va fatto discernimento, in ogni istante della nostra vita».

 

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